Caro direttore,
Alfie continua a vivere, perché sopravvivere è vivere. Alfie spacca il cuore, e mai verbo è più adatto di “heartbroken”, come hanno detto i vescovi inglesi. Non possiamo non guardarlo, e non porci domande scomode: cos’è l’uomo, su cosa basiamo la nostra vita, le nostre leggi, il nostro impegno nel reale. Dio ha scelto ciò che nel mondo è umile e disprezzato, ha scelto la croce. Eppure questo segno così concreto e provocatorio non è per tutti: né per i medici, né per i giudici, né per la casa reale, il parlamento, la stampa. Nel Regno Unito e qui da noi: oggi il Corriere dava notizia del “caso” a pagina 22, non pervenuto su Repubblica e La Stampa. Quando parlare di Alfie non è un’opzione, ma un dovere. Quando parlare di Alfie non significa entrare in ambiti inestricabili, anzi. Medici di fama, giuristi indiscussi ne parlano con estrema chiarezza, non fanno filosofia, e dar conto delle loro prese di posizione non toccherebbe solo ai cattolici. 



Conosco l’indifferenza, conosco l’ideologia, capisco i timori di un’ingerenza in affari altrui, da parte degli intellettuali cosmopoliti o dei burocrati della diplomazia. Ma non si tratta di affari altrui, benché l’affermazione sfiori il cinismo. Si tratta di affari nostri di tutti ed ciascuno: chi è l’uomo? chi ha diritto sulla sua vita? Non i genitori. Forse i giudici? Forse lo Stato? E non c’è legge che possa essere superata dalla pietà? Che non è solo una categoria di fede. Le mitologie dei popoli sono piene di bambini affidati alle acque, ai lupi, alle capre per salvarli da morte certa, dettata dai principi o dagli dei. 



Tuttavia, i cristiani hanno una responsabilità in più, un compito in più: non basta farsi toccare dalle domande. Non basta restare in silenzio, attonito, davanti al silenzio di un bambino, al dolore dei suoi genitori. Perché quel bambino sta morendo, e non di morte naturale. Per una sentenza che non è contradditoria, ma proprio sbagliata. Nessuna vita è futile, inutile, perduta. Lo sa bene chi offre il suo tempo a lavorare tra i criminali, chi accudisce con pazienza disabili gravissimi, vecchi totalmente dementi. L’alternativa è la rupe Tarpea, che elimina chi è scomodo o perturbante o improduttivo. Solo che la rupe Tarpea spesso evocata è soltanto una leggenda, la selezione eugenetica rischia di divenire prassi. 

E davanti all’ingiustizia porsi soltanto domande, senza disturbare troppo, non basta. Non serve a stabilire dialoghi, con chi è sordo ad ogni dialogo. Non serve a suscitare emozioni in chi crede che quella di bambini come Alfie sia non vita, che non vale un’emozione. Non ci si commuove per una pietra. Per un albero, per un cormorano sì, e Alfie per tanti vale meno di una pianta o un animale ferito. C’è in tanti che si dicono credenti una prudenza incomprensibile, troppi sospiri di impotenza, troppi rovelli: non vale ricordare che tanti nel mondo sono i bambini che muoiono. Ci tocca star davanti a quel bambino, a quei genitori. E dire la verità. Parola scomoda, che sembra imporre battaglie. Parola cara, perché per la verità detta da Cristo siamo chiamati a vivere e morire. E la verità è una sola, che ogni vita è degna, che nessuno ne è padrone, che la legge se è ingiusta va combattuta fino allo stremo. Che poi la legge riesce ad essere così malvagia, nelle sue forme, che capire da che parte stare non è neanche difficile: non si toglie a una famiglia il conforto di un sacerdote, non si perquisisce lo zaino del padre per farlo entrare a vedere suo figlio, non lo si lascia dormire per terra. Gesù davanti all’adultera che stava per essere lapidata ha oltrepassato la legge, ha toccato la coscienza. Dura lex, sed lex non è motto da cristiani. 

So bene che questa anarchia può rappresentare un pericolo. I cristiani furono perseguitati per secoli perché rifiutavano di entrare nell’esercito, rifiutavano di combattere. Tanti cristiani hanno rifiutato di essere servi di regimi totalitari, e hanno pagato per questo. Non c’è legge, costituzione, giudizio che possa sopravanzare la verità. Noi abbiamo una testimonianza ben meno cruenta e dolorosa da offrire: basta dire la verità, senza infingimenti. Basta seguire il Papa: o dovremmo credere che anche lui si sta facendo delle domande, ed è dilaniato dal tormento esistenziale? Il Papa ha ricevuto il papà di Alfie, ha aperto le porte del suo ospedale, ha mandato la sua inviata speciale, ha parlato al mondo in piazza san Pietro. Il Papa. Quello che ha regalato per il suo onomastico gelati ai barboni di Roma. Che cosa inutile, un gelato, per chi soffre la fame. E perché mai solo ai barboni di Roma, quando sono milioni i poveri nel mondo. Il Papa, quello che telefona agli ammalati che chiedono la sua tenerezza. Ma non telefona a tutti. Il Papa imprudente, il Papa un po’ anarchico. Che paura abbiamo?