Ieri un giovane di 14 anni è stato portato in ospedale quasi in condizioni di coma etilico dopo una serata con gli amici. Ma è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di eccessi, di gesti inconsulti e sconsiderati. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Spesso penso a questi poveri ragazzi — poveri nel senso che non sanno cosa fare, cosa dire, come passare il tempo, come stare e cosa fare con la ragazza, con gli amici, a scuola e che spesso si fanno conoscere per atti osceni, violenti, drammatici, in definitiva per fatti o momenti di morte — e mi chiedo quanto soffriranno, quanto penosa deve essere la loro esistenza. Sicuramente hanno un cuore grande, un’attesa infinita, come è sempre stato per ogni uomo in tutte le età e a tutte le latitudini, ma nell’età della gioventù sappiamo che il desiderio va a mille, soprattutto in quest’epoca in cui tutto sembra ingigantito. Eppure questi ragazzi non parlano, non si esprimono, non guardano, non comunicano, non sorridono, non ridono. Tutta questa vita che gli scoppia in petto perché non esce, non dilaga, non si dà, non si concede? Perché non riescono a partecipare al mondo intero quell’energia che pure alberga nel loro cuore?



Non chiedono, non sanno chiedere, eppure chiedere, alzare lo sguardo, invocare è la cosa più bella, più tranquillizzante. Pacificante perché fa intravedere l’esperienza del fidarsi. Ma per chiedere occorre imparare ad abbandonare il pregiudizio (ma forse è più opportuno parlare di giudizio) che io sono solo contro tutto e tutti, che me la devo cavare con le sole mie forze, che io mi faccio, sì mi faccio io da solo… Quanto lavoro dobbiamo compiere per ottenere che i giovani (e gli adulti) non abbiano più il problema di essere bravi, all’altezza, performanti.



Quando comincio a chiedere, ad imparare dagli altri, da chi è più grande, più avanti di me mi accorgo che sono più bello, più bello di una bellezza acuta, profonda, ammirabile, unica. Insomma il punto è lasciarsi colpire, imparare l’umiltà di lasciarsi ferire da tutto e da tanto. Occorre dare tutto e attendere tantissimo. Tutto e subito, con una pazienza infinita.

E’ importante non pensarsi arrivati, saputi, già imparati, altrimenti non riusciamo a percorrere la strada più interessante, quella di scendere nel nostro cuore, dentro noi stessi, per scoprire che c’è qualcosa che non finisce mai, che è al di là di ogni misura, un volto che crea e fa il mio stesso vero volto. 



Riusciamo a scoprire questo qualcosa e a costruire su di esso se pensiamo che la meta, anzi che l’origine, l’alba e l’aurora, il mezzogiorno e financo la sera, tutto insomma è la gioia, tutto nasce dalla gioia e porta alla gioia. Sì, quello che cerchiamo in ogni gesto e momento è la gioia. 

Non siamo e non partiamo dal dolore, dalla tristezza e dalla sconfitta, ma dal nostro cuore che vuole e cerca la gioia.