Non è esattamente piaciuto ai familiari delle vittime della banda Uno Bianca che uno dei principali membri del clan criminale (che tra il 1987 e il 1994 assassinò 24 persone e ne ferì oltre 100) fosse in permesso premio durante il giorno di Pasqua. Così è avvenuto dopo che il Mattino di Padova ha dato notizia in questi giorni del permesso concesso ad Alberto Savi, il più giovane dei fratelli (Roberto e Fabio erano i leader della banda) detenuto nel carcere di Padova, per tre giorni e mezzo durante le ferie pasquali. Savi non è la prima volta che riceve un permesso premio, in virtù del lungo e complesso percorso fatto di pentimento, risocializzazione e redenzione personale giudicato meritevole di questo beneficio dal tribunale di Sorveglianza: ora il permesso pasquale, dove ha visto qualche parente e la sua compagna, ha fatto letteralmente imbufalire alcuni familiari delle vittime della Uno Bianca. Raggiunta dall’Ansa per un commento sulla vicenda, la mamma di Otello Stefanini – carabinieri ucciso assieme ai colleghi Andrea Moneta e Mauro Mitilini dalla banda criminale di Romagna, Marche e della città di Bologna – ha attaccato «è una vergogna, un’indecenza. Ci si è dimenticati di quello che hanno fatto. Ascoltano più loro che noi, le vittime non contano niente», spiega Anna Maria Stefanini. Al dolore straziante della donna si aggiunge il commento molto duro dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna, con la presidente Simonetta Saliera: «Fatto salvo il rispetto per le autonome decisioni delle autorità competenti, non si può ignorare come la comunità bolognese sia turbata dal riaprirsi di antiche ferite mai rimarginate: ai familiari delle vittime, alla presidente della loro Associazione Rosanna Zecchi, a quanti hanno sofferto e avuto paura per i crimini della banda della Uno Bianca vanno la nostra vicinanza e la nostra solidarietà».



DOLORE E CASTIGO

Resta il dolore delle vittime, il rimpianto per quanto effettuato da quella banda criminale, ma vi è anche l’altrettanto “piano parallelo” dei carnefici, dove non tutti sono uguali agli altri. In particolare, Alberto Savi rispetto ad altri si è sempre detto pentito e addolorato per quanto commesso: questo non può di certo “restituire” quello che lui e la sua banda hanno tolto, e anche per questo ha deciso di non rilasciare interviste o commenti d’ogni sorta. «Comprendiamo la ferma e rabbiosa reazione dei parenti delle vittime, noi saremo sempre un passo indietro rispetto a chi è stato colpito da questa orribile vicenda»: così parlava l’avvocato di Alberto Savi, Annamaria Marin, in una intervista a Lettera43 nell’aprile 2017 dopo un altro permesso premio che aveva scatenato polemiche molto simili a quelle di oggi, un anno dopo. «In ogni nostra conversazione emerge il gravoso peso della sua storia giudiziaria. Dal mio punto di vista è un atteggiamento che fotografa la piena consapevolezza della gravità delle azioni commesse», raccontava ancora la legale di Savi che sottolineava la richiesta discreta ma concreta di perdono ai familiari delle vittime. «Savi mi parla dei suo rimorsi, verso le vittime e i loro familiari ma anche per non aver fermato la violenza dei fratelli e dagli altri membri della banda Uno Bianca». Dolore, castigo e pentimento: il percorso di Savi è indirizzato in questo senso, anche se resta comprensibile come la reazione in molti familiari delle vittime di quella banda non riesca ancora a trovare lo spazio e il deciso passo verso il perdono.



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