La vicenda dell’intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco e le presunte affermazioni del papa sull’inferno (non esisterebbe), diciamo la verità, non hanno nulla di nuovo. A 94 anni Scalfari si dimostra un giornalista enorme e dal suo punto di vista vince su tutti i fronti.

Il fondatore di Repubblica ha incontrato il Papa, gli ha chiesto dell’inferno, questi gli avrà detto delle frasi bonarie perché ha incontrato il giornalista pensando da prete all’uomo anziano. Scalfari riferisce quello che ha capito o ha voluto capire. La questione dell’inferno ha fatto il giro del mondo; il papa lo ha smentito, aggiungendo altra notorietà a Scalfari, il quale ha detto che forse ha capito male. Il Papa, è subito chiaro a chi pone mente per due secondi a cosa è successo, se ha sbagliato ha sbagliato nell’essere prete, nel vedere l’uomo prima che l’astrazione del peccato, ma in questo ha vinto mille volte, è la bontà che tutti vorremmo avere, è la misericordia di Cristo sulla croce che pensa al bene dei legionari che lo stanno torturando. È il trionfo della Chiesa, che salva anche il peccatore.



Ma in questa vicenda il giornale che licenzia il matematico Piergiorgio Odifreddi per avere criticato Repubblica, che figura fa?

Odifreddi, da scienziato, non capisce e non è interessato al dramma del peccatore e della misericordia, quindi vede la vicenda in bianco e nero: c’è una notizia falsa che doveva essere evitata. Una posizione lineare, in teoria. A questo punto Repubblica lo licenzia perché non in linea con il giornale. Ma è il tono piccato e offeso della lettera di licenziamento, resa pubblica dallo stesso Odifreddi, che pare bizzarra.



“Il problema è che non si può collaborare con un giornale e contemporaneamente sostenere che della verità ai giornalisti non importa nulla (come aveva detto Odifreddi, nda). Che oggi serva di più pubblicare il falso del vero. Questo è inaccettabile e intollerabile, non solo per me ma per tutti quelli che lavorano qui. Facciamo il nostro lavoro con passione e con professionalità e la gratuità delle tue parole di ieri ci ha fatto male. Tu sai di aver sempre goduto della massima libertà, ma l’unica libertà che non ci si può prendere è quella di insultare o deridere la comunità con cui si lavora”.



La lettera sembra non comprendere il vero valore dell’impresa di Scalfari, quello della protesta del Papa e il punto di Odifreddi. In questo non c’è niente di che sentirsi offesi, e in questa mancata comprensione forse si perde il tutto della partita generale che si sta giocando.

Forse in questo c’è anche il dramma odierno del giornale. Repubblica è stato il quotidiano trasformativo della sinistra italiana, avendola portata da ombra grigia della severità sovietica a diventare una dinamica forza di governo inserita in un altro contesto internazionale. Ma nei mesi scorsi il quotidiano non ha saputo pensare e decidere cosa dire delle forze emergenti, M5s e Lega. Due grandi giornalisti ex Corsera come Folli e Merlo hanno cercato di tenere la barra al centro, in modi diversi con una vista disincantata e lucida. Ma molto della truppa sembrava affannato a rincorrere pezzi di un Pd che si frantumano di schegge sempre più piccole.

Anche qui la grande zampata è venuta da Scalfari, che ha rivoltato le carte dicendo: tra M5s e Berlusconi scelgo Berlusconi.

Da lontano lo diciamo con una lacrima sul viso, mostrando apparentemente di compiere il primo peccato mortale di un giornalista: criticare altri giornalisti, ma non è così. Vorremmo davvero rivedere la Repubblica della nostra gioventù, quella che spostò il centro di gravità giornalistico dal nord industriale a Roma e al Sud. Ma per fare questo non serve fare gli offesi, occorre esattamente il contrario: capire le ragioni delle critiche e farne materia propria.