Il sabato sera è diventato il tempo privilegiato del terrorismo nelle grandi città. È il nuovo significato della febbre del sabato sera. Senza la potenza organizzata del Bataclan e dello Stadio dei Principi, questi attentati a sciame servono comunque a marcare il territorio e il tempo in una strategia di demoralizzazione progressiva a cui la risposta data oggi da politici e intellettuali va dall’ira impotente al fatalismo. Ma esiste una speranza oppure no? Siamo noi europei portatori di qualcosa di bello e vero che sia in grado di resistere al male?
Intanto i fatti. La polizia di Parigi non ha dubbi. L’attentatore ha agito vicino all’Opera secondo il modus operandi di un terrorismo islamico puntuale, meticoloso nel saper essere imprevedibile, e insieme prevedibilissimo, molto semplice, facile da fare, capace di piantare sempre e comunque la sua bandierina nera nel cuore dell’Occidente. Prima di essere abbattuto da agenti di sicurezza, ha ucciso un passante, potevi essere tu, o io, o nostra figlia; altri due sono gravissimi, più lieve invece la prognosi per altre due persone.
L’uomo ha lavorato i coltelli, gridando “Allah akbar”. Ci stiamo abituando a queste parole. Quell’urlo disarticolato vuol dire “Dio è grande”, in arabo, e non esiste profanazione più terribile di quest’uso sanguinario di un nome santo. Dio non ammazza, anzi è morto per noi. Allah non è il Dio islamico. È Dio è basta. Lo adorano e lo chiamano così, “Allah”, anche i nostri fratelli cristiani arabi.
Perché dire questa elementare verità? Per ricordare a me stesso che Dio non è così. E il nostro compito di credenti è quello di testimoniare che l’Assoluto, quello che i parigini o i milanesi cercano a tentoni e che però desiderano incontrare, è una meraviglia d’amore. È importante essere instancabili nel far presente non solo con le parole tutto questo. La liturgia maledetta del terrorismo, la sua pedagogia maligna va certamente repressa, punita, e prevenuta. Ovvio. Ma l’alternativa al nichilismo terrificante del jihadismo non può essere il nichilismo vacuo, il vuoto spirituale dominante. Bensì un pieno di vita buona, un porto di luce, magari tenue, una scintilla nel mare di buio o di neon (è la stessa cosa), minuscola forse, e però presente, visibile, attraente.