Lo scenario ora è definitivamente cambiato e le posizioni nel processo ai 5 carabinieri indagati divengono ufficiali: finora infatti erano state confessioni e dichiarazioni extra-processuali e non potevano valere a fini legali. Da ieri sono diventati verbali ufficiali e le posizioni per Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi sono decisamente più a rischio. Va ricordato che non tutti e 5 sono indagati per la morte di Stefano Cucchi in questo processo bis, ma avrebbero avuto distinti ruoli nella vicenda durata ormai 9 lunghi anni: D’Alessandro, Di Bernardo e Tedesco rispondono davanti ai giudici di omicidio preterintenzionale. Non solo, quest’ultimo deve difendersi anche dall’accusa di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia ; per questo ultimo reato, anche Mandolini è implicato – come ha raccontato ieri il maresciallo Casamassima – visto che all’epoca dei fatti era a capo della stazione Appia a Roma dove venne eseguito l’arresto fatale del trentenne morto nell’ottobre 2009. Da ultimo Nicolardi, anche lui carabiniere ovviamente, è accusato dalla procura di Roma assieme Mandolini e Tedesco per calunnia nei confronti degli agenti di Polizia Penitenziaria, i quali vennero accusati nel corso della prima inchiesta del caso e nel primo processo, di fatto poi annullato e sostituito da questo ora in corso.
LA SORELLA, “MANDOLINI RESPONSABILE”
Roma, il processo Stefano Cucchi bis sta vivendo un’importante svolta. La deposizione del carabiniere Riccardo Casamassina infatti hanno aperto un varco per la giustizia, permettendo di approfondire cosa realmente accaduto la notte della morte del geometra romano. Il carabiniere ha sottolineato il ruolo di Roberto Mandolini. Sul banco degli imputati cinque militari dell’Arma, per reati che vanno dall’omicidio preteritenzionale al falso, alla calunnia. La verità potrebbe venire a galla e, come riporta Repubblica, la sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, ha commentato: “Ritengo il maresciallo Mandolini il principale responsabile morale di questi anni di attesa della verità. Tanti, troppi anni fa, vidi Roberto Mandolini, nel primo processo per la morte di Stefano, il processo sbagliato. Raccontò che la sera dell’arresto di Stefano era stata piacevole e mio fratello era stato simpatico. Oggi ascolto tutta un’altra storia, dopo che per anni io e la mia famiglia abbiamo rincorso verità”. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
CASAMASSIMA INGUAIA I COLLEGHI
Con le sue dichiarazioni, come del resto già ben note dalla prima confessione tenuta prima di aprire il processo Cucchi-bis, Casamassima inguaia e non poco i suoi colleghi che negli ultimi anni hanno tentato – secondo lo stesso maresciallo in aula – di rendergli la vita difficile sul posto di lavoro. In una intervista al Fatto Quotidiano nel 2016, il maresciallo teste-chiave per il processo su Stefano Cucchi raccontava già che rispetto al collega Mandolini, la scelta di metterli a lavorare insieme fu uno dei motivi di convinzione per denunciare il tutto. Entrambi lavorano nello stesso reparto al battaglione Tor di Quinto e come raccontò lo stesso Casamassima, «È per questo motivo che ho chiesto di essere spostato per ricongiungimento familiare. Per evitare problemi ho chiesto di essere portato dove lavora anche la mia compagna. Ma mi è stato detto di no nonostante il ricongiungimento sia previsto da circolari specifiche».
“MI DISSERO, ‘MAI VISTO NULLA DI SIMILE’”
Rischia di essere ricordata come la testimonianza decisiva per il processo bis sulla morte di Stefano Cucchi, quella resa oggi davanti alla prima corte d’assise di Roma da Riccardo Casamassima, il carabiniere che ha di fatto confermato come il geometra defunto al Pertini di Roma il 22 ottobre del 2009, sei giorni dopo essere stato arrestato per droga, sia stato di fatto vittima di un pestaggio. A risponderne cinque militari dell’Arma dei Carabinieri, per reati che vanno dall’omicidio preteritenzionale al falso, alla calunnia. Come riportato da La Repubblica, a confermare al maresciallo Casamassima che qualcosa nell’arresto di Stefano Cucchi non fosse andato per il verso giusto fu il racconto del maresciallo Sabatino Mastronardi, figlio del comandante della stazione di Tor Vergata, il primo che il maresciallo Mandolini – allarmato – si affrettò ad informare: “Venne in caserma ed ebbi con lui uno scambio confidenziale: si portò la mano sulla testa e, parlando della morte di Cucchi, disse che non aveva mai visto una persona così messa male. Lo aveva visto la notte dell’arresto quando Cucchi venne portato a Tor Sapienza”. (agg. di Dario D’Angelo)
MARESCIALLO, “LAVORO CON CHI MI INSULTA”
Massacrato di botte dai militari: l’accusa risuona forte e chiara dalle parole del testimone Casamassima, finalmente dopo un processo “buttato” in cui tanti (quasi tutti) non hanno detto la verità su quanto avvenuto al povero Stefano. Chiamato a chiarire la sua collaborazione con la giustizia in questi ultimi anni “tardivi”, il maresciallo ha spiegato che i suoi superiori non solo “si inventavano” i verbali per coprire i presunti illeciti dei colleghi, ma che lo avrebbero anche punito per aver cominciato a parlare e collaborare con i pm. «Non appena il mio nome e’ uscito sui giornali, ho dovuto fare i conti con una serie di procedimenti disciplinari, tutti pretestuosi. Continuano a farmi lavorare nello stesso reparto dove presta servizio un collega che sui social ha insultato pubblicamente me e la mia compagna» (Maria Rosati, anche lei dei Carabinieri). Rispetto a quel famoso incontro con Mandolini, Casamassima racconta di aver intimato l’altro maresciallo ad andare a parlare con i procuratori, ma egli lo avrebbe subito fermato, «Gli dissi anche che la Procura stava andando avanti e che aveva in mano una serie di elementi importanti per fare luce su quanto accaduto. Lui mi rispose dicendomi che il pm ce l’aveva a morte con lui».
“I MIEI SUPERIORI FALSFICAVANO I VERBALI”
La deposizione del teste chiave dell’accusa ha continuato questa mattina rivelando nuovi dettagli importantissimi per provare a ricostruire, per davvero questa volta, cosa successo a Stefano Cucchi ormai 9 anni fa: un altro passaggio che, se confermato, dimostra l’assoluta gravità della vicenda vede il maresciallo Casamassima spiegare il perché ha deciso dopo 4 anni e mezzo anni di riaprire il caso. «All’inizio la vicenda Cucchi non mi aveva visto coinvolto in prima persona, ma troppe cose fatte dai miei superiori non mi erano piaciute, come l’abitudine di falsificare i verbali, e, provando vergogna per ciò che sentivo e vedevo, ho deciso di rendere testimonianza, temendo ritorsioni che poi si sono verificate. Quando è uscito il mio nome sui giornali, i superiori hanno cominciato ad avviare contro di me procedimenti disciplinari, tutti pretestuosi». Parole pesanti che i diretti interessati dovranno cercare di spiegare/contraddire quanto detto dal maresciallo teste-chiave dell’intero processo Cucchi: spiega poi che Mandolini parlò tutto agitato con il comandante Enrico Mastronardi della stazione di Tor Vergata. «Seppi da quella che è poi diventata la mia compagna, Maria Rosati, e che assistette al colloquio perché faceva da autista di Mastronardi, che stavano cercando di scaricare le responsabilità dei carabinieri sulla polizia penitenziaria. Lei capì il nome Cucchi ma all’epoca non era ancora una vicenda nota perché non era morto», spiega ancora Giancarlo Casamassima in aula questa mattina.
LA DEPOSIZIONE DI CASAMASSIMA: “CUCCHI MASSACRATO DAI CARABINIERI”
La prova che Stefano Cucchi è stato massacrato e picchiato, riducendolo di fatto in condizioni che hanno poi portato alla morte? La fornisce in aula oggi il Maresciallo Riccardo Casamassima, all’interno del processo che vede imputati 5 carabinieri, tre dei quali accusati della morte il 22 ottobre 2009 del 30enne detenuto. «Nell’ottobre 2009, il maresciallo Roberto Mandolini “si è presentato in caserma: mi confidò che c’era stato un casino perché un giovane era stato massacrato di botte dai ragazzi, quando si riferì ai ‘ragazzi’, l’idea era che erano stati i militari che avevano proceduto all’arresto», spiega il maresciallo Casamassima, secondo quanto riportato dall’Ansa. La conferma del pestaggio arriva dunque dal teste chiave dell’accusa, sentito dalla prima Corte d’Assise dopo il ripensamento “recente” sulla propria testimonianza. In aula infatti Casamassima ha spiegato di aver deciso di raccontare tutto solo qualche anno dopo, nel 2015, perché «pensavo che Mandolini volesse fare lui stesso qualcosa. Avevo paura di ritorsioni, dopo la mia testimonianza infatti», spiega ancora il maresciallo, «hanno cominciato a fare pressioni pesanti nei miei confronti. Ho avuto anche problemi perché ho rilasciato interviste non autorizzate; si stava cercando di screditarmi, e io dovevo far capire che tutto quello che dicevano non era vero».
ILARIA CUCCHI: “VERITÀ ATTESA DA TROPPO TEMPO”
Un quadro gravissimo che emerge in maniera chiara a ben 9 anni dala tragica e ignobile morte di Stefano Cucchi: la sorella Ilaria, forse la causa principale del processo di oggi dovuto proprio alla costanza e insistenza nel ricercare la verità su suo fratello, ha spiegato uscendo dall’aula. «Per anni io e la mia famiglia abbiamo rincorso la verità, abbiamo atteso troppo. Ritengo che il principale responsabile di questa attesa sia il maresciallo Mandolini», spiega Ilaria Cucchi con i colleghi cronisti. La donna ricorda infatti quando Mandolini venne in aula durante il primo processo, «ci racontò la storiella che quella era stata una serata piacevole e che Stefano era stato anche simpatico. Adesso è il processo giusto, si parla di pestaggio. E ogni volta che entro in quest’aula ho la pelle d’oca. E’ inaccettabile, e lo dico da sorella di Stefano ma anche da cittadina, che si sia cercato di scaricare tutto sulla polizia penitenziaria», attacca durissima la sorella del 30enne morto nel carcere Regina Coeli ormai 9 lunghi anni fa.