Si riapre l’inchiesta sul tragico incidente che il 7 maggio 2013, nel porto di Genova, provocò la morte di nove persone, dipendenti impiegati nella Torre Piloti di controllo delle operazioni navali. Durante la manovra per uscire dal canale dove era ormeggiata, la nave trasporti Jolly Nero appartenente alla compagnia Messina urtò contro l’edificio provocandone il crollo totale. La prima parte del processo si era chiusa nel maggio 2017, ben quattro anni dopo, con una sentenza di primo grado in cui erano stati condannati il comandante della Jolly Nero Roberto Paoloni (10 anni e 4 mesi), il primo ufficiale della nave cargo Lorenzo Repetto (8 anni e 6 mesi) e il direttore di macchina Franco Giammoro (7 anni) oltre che il pilota del porto Antonio Anfossi (4 anni e 2 mesi). La compagnia Messina era stata condannata a pagare un risarcimento pari a un milione e 500mila euro, come responsabile dell’illecito amministrativo del comandante.
I RINVIATI A GIUDIZIO
Adesso si apre il secondo filone processuale, il prossimo 13 settembre con il rinvio a giudizio di nuovi elementi, il commissario e i dirigenti tecnici del Consorzio autonomo del porto di Genova (Bruno Capocaccia, Angelo Spaggiari, Paolo Grimaldi, Edoardo Praino) responsabili del progetto precontrattuale per la costruzione; il presidente e il membro della sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici che espressero parere favorevole al progetto (Ugo Tomasicchio, Mario Como) e i datori di lavoro delle nove vittime e anche i responsabili della sicurezza: l’ammiraglio Felicio Angrisano e l’ufficiale Paolo Tallone della Capitaneria di Porto, Gianni Lettich e Sergio Morini della corporazione Piloti e Gregorio Gavarone e Roberto Matzedda della Rimorchiatori riuniti. Le due società rinviate a giudizio sono la Corporazione piloti e la Rimorchiatori riuniti. Come si vede non si salva quasi nessuno tra dirigenti, direttori e responsabili del porto di Genova, del settore controllo e sicurezza, si intende dare un segnale forte a proposito della sicurezza sul lavoro la cui mancanza o poca serietà provocò una delle più gravi stragi del lavoro in Italia.