La notizia della condanna di Vittorio Sgarbi e Alessandro Sallusti per diffamazione a causa di un articolo a firma del critico d’arte apparso a suo tempo sul Giornale (di cui il secondo è il direttore) arriva pochi giorni dopo il duro scontro verbale che Marco Travaglio ha avuto proprio con il suo omologo alla guida del quotidiano vicino alla famiglia Berlusconi. Infatti, durante la scorsa puntata di DiMartedì, Sallusti aveva dato al direttore de Il Fatto Quotidiano del “diffamatore”, infastidito per le parole del primo su Silvio Berlusconi (“Resta un delinquente nonostante la riabilitazione”). E, nell’editoriale apparso oggi sul suo giornale, Travglio ha voluto spiegare ai suoi lettori come mai non abbia risposto a stretto giro di posta a Sallusti durante quella puntata: infatti, il suo intervento era registrato mentre quello del direttore del Giornale era in diretta, ma oltre a questo spiega che voleva evitare una polemica con “gli impiegati di B. travestiti da giornalisti”. Inoltre, nel suo editoriale, Travaglio ha aggiunto che “tutto avrei immaginato nella vita fuorché di prendere lezioni sulla diffamazione da un diffamatore incallito come Sallusti” ricordando la grazia parziale che a suo tempo Giorgio Napolitano, allora Presidente della Repubblica, gli concesse. E conclude il suo pezzo, quando ancora non poteva sapere della condanna di oggi comminata a Sallusti e a Sgarbi, scrivendo che dopo quella grazia Sallusti ha continuato a “diffamare impunemente il prossimo”. (agg. di R. G. Flore)



LA DIFESA DI VITTORIO SGARBI

Vittorio Sgarbi e Alessandro Sallusti sono stati condannati a sei e tre mesi di carcere, con sospensione della pena, per aver diffamato il pm palermitano Nino Di Matteo, paragonandolo al super boss Totò Riina, in un articolo pubblicato su Il Giornale. Oggi Sgarbi, attraverso i microfoni di TgCom24.it, ha voluto commentare la propria condanna con queste parole: «Ho detto una cosa oggettiva, e cioè che le intercettazioni in carcere di Riina che ‘condannava a morte’ Di Matteo, hanno favorito la creazione del mito del magistrato – non sembra volersi scusare il critico d’arte – ne hanno aumentato popolarità e tutela, e questa non è diffamazione, è un’opinione». Sgarbi ha quindi proseguito: «In uno Stato democratico è garantita la libertà d’espressione e questa sentenza è un crimine contro la democrazia e l’ossequio di un magistrato a un suo collega». Poi il noto opinionista tv ha concluso l’intervista sostenendo ulteriormente la sua tesi: «Sono convinto – chiosa – che Di Matteo abbia torto su tutta la linea della sua impostazione giudiziaria e che abbia detto cose inaccettabili contro il generale Mori in una sentenza e contro Forza Italia con le sue dichiarazioni che il partito sarebbe nato da un patto con la mafia. Questa è vera diffamazione ma nessuno riesce a condannare chi l’ha pronunciata». (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



COSA DISSE SGARBI

Oggi è giunta la notizia della condanna a sei mesi di reclusione per Vittorio Sgarbi per diffamazione nei confronti del pm Di Matteo. Il critico d’arte negli ultimi tempi ha attaccato il magistrato e a proposito di un sit-in di protesta nei suoi confronti per il suo giudizio nei confronti del paladino antimafia, disse: “Ho semplicemente detto che delle minacce a un uomo da parte di un mafioso possono essere preoccupanti o meno preoccupanti: se un uomo è in carcere al 41 bis non può avere il potere di comunicare con nessuno, quindi le minacce di Riina le hanno comunicate la Procura, lo Stato, la Stampa”. Continua Vittorio Sgarbi in un video pubblicato a fine 2017: “Il modo in cui la stampa pubblicizza la protesta di 19 persone contro di me, il modo in cui pubblicizza un’intercettazione è lo strumento affinchè quelle minacce acquistano valore dando peso a quello che le ha fatte”. Conclude: “Quando lo Stato è strumento della mafia e comunica cose che non deve comunicare coperte dal segreto istruttorio come un’intercettazione, evidentemente può nascere un equivoco”. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)



SEI MESI DI RECLUSIONE A VITTORIO SGARBI

Nino Di Matteo diffamato, Vittorio Sgarbi e Alessandro Sallusti condannati rispettivamente a sei e tre mesi di reclusione. Come sottolineato dal Corriere della Sera, il giudice monocratico di Monza Francesca Bianchetti ha sanzionato con il carcere l’articolo pubblicato su Il Giornale lo scorso 2 gennaio 2018, mentre il direttore è stato condannato per omesso controllo. Entrambi hanno avuto la sospensione della pena. Sia Vittorio Sgarbi che Alessandro Sallusti dovranno risarcire i danni al pubblico ministero, considerato un paladino dell’antimafia. I danni verranno liquidati in sede civile, ma il giudice ha concesso a Nino Di Matteo, difeso dall’avvocato Roberta Pezzano, una provvisionale immediatamente esecutiva di 40 mila euro. Entrambi i condannati hanno avuto le attenuanti generiche. Sgarbi, nel suo articolo “Quando la mafia si combatte solo a parole, aveva dichiarato che “Riina non è, se non nelle intenzioni, nemico di Di Matteo. Nei fatti è suo complice. Ne garantisce il peso e la considerazione”.

DI MATTEO DIFFAMATO, SGARBI E SALLUSTI CONDANNATI

Sostituto della Direzione nazionale antimafia e memoria storica del processo sulla trattativa Stato-mafia, Nino Di Matteo si è costituito parte civile ed è stato ascoltato dal giudice Francesca Bianchetti lo scorso 25 gennaio 2018. Vittorio Sgarbi aveva messo nel mirino il pubblico ministero in seguito alla divulgazione delle intercettazioni di Totò Riina, boss mafioso che durante la sua detenzione aveva anche minacciato di morte Di Matteo, sottoposto in seguito al massimo livello di sicurezza. Anche recentemente, lo scorso 28 aprile 2018, Vittorio Sgarbi aveva scritto su Il Giornale: “È invece inconfutabile che il pm Di Matteo e i magistrati antimafia non abbiano cercato la mafia nella «trattativa» che ha portato alla devastazione sistematica della Sicilia attraverso i parchi eolici. Ne sono annunciati altri 13, con un montepremi di 6.6 miliardi di euro. La materia è nota ai magistrati perché, nelle dichiarazioni intercettate di Riina, con le minacce di morte per Nino Di Matteo, c’era la chiara denuncia sull’attività prevalente, proprio nelle energie rinnovabili, di Matteo Messina Denaro. Perché si è fatto tanto rumore e si è data tanta risonanza a quelle minacce e non si è seguita la traccia indicata da Riina, lasciando che, ancora oggi, la mafia trionfi sul paesaggio siciliano?”.