Alfonso Sabella magistrato siciliano, durante la sua carriera a Palermo dopo la stagione delle stragi 1992-93 ha fatto arrestare 1752 mafiosi (da Brusca a Bagarella) e circa un centinaio di latitanti. Nei panni di assessore alla legalità di Roma nella giunta Marino ha dato filo da torcere ai clan di Ostia. Oggi invece pensa al suicidio (idea poi fortunatamente archiviata). Questo il suo sfogo a Vanity Fair in una recente intervista che arriva alla vigilia della sua partecipazione al Wired Next Fest, dove il 26 maggio sarà protagonista per parlare della serie tv Il Cacciatore, tratta dalla sua autobiografia Cacciatore di mafiosi e contenente le sue maggiori imprese. A 55 anni il pm Sabella nutre una profonda delusione ma soprattutto il desiderio di andare presto in pensione. Il motivo è semplice: “Sono profondamente deluso da questo Paese”. Ed il riferimento, comprensibilmente, è all’esito del processo in primo grado in riferimento ai fatti della caserma Bolzaneto. Era il 2001, nei giorni del G8 di Genova e Sabella era a capo del servizio ispettivo del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria. La responsabilità di Bolzaneto, dunque, era la sua. In fase di indagine penale fu prosciolto ma successivamente condannato dalla Corte dei Conti a 12 milioni di euro, poi ridotti a 2 milioni, relativi ai risarcimenti delle parti offese. “Sono amareggiatissimo perché dopo aver sempre dato la possibilità a tutti, anche ai peggiori criminali, Totò Riina compreso, di difendersi, a me – che sono stato l’unico in quel processo a rinunciare alla prescrizione, che sono stato archiviato ma l’unico a chiedere di essere processato – non è mai stata data la possibilità di produrre un documento o far sentire un testimone…”, ha commentato.



LA CONDANNA DELLA CORTE DEI CONTI

Oggi il pm Alfonso Sabella rischia di dover pagare un risarcimento pari a 2 milioni di euro “se viene accolta un’eccezione di incostituzionalità”. Si tratta, come lo stesso ha spiegato a Vanity Fair, esattamente del doppio del suo stesso patrimonio. Oggi confida nell’Appello e ribadisce la sua posizione pacifica: “dove, e solo dove, ero presente io non è stato torto un capello agli arrestati e le disposizioni da me date sono state ritenute pienamente corrette dal Tribunale”, dice. Eppure è possibile che non gli venga concessa questa possibilità e se ciò dovesse accadere, “significa che la decisione è stata presa, significa che sto pagando il fatto di aver detto frammenti di quella verità sul G8 di Genova che nessuno ha voglia di sentire, su quello che è accaduto a Genova realmente in quei giorni”. A sua detta è l’unico ad oggi ad aver raccontato la verità tra gli uomini dello Stato. “Di fatto mi stanno condannando a morte”, aggiunge. Questo perché, come spiega, rischia di non avere più alcuna alternativa poiché se la sentenza dovesse passare in giudicato tutte le responsabilità passeranno agli eredi. Per questo avrebbe pensato al suicidio per evitare un debito così grande alla figlia. “Ci ho pensato, e non solo per motivi economici”, ammette. Dopo aver sacrificato tanto per lo Stato, “ora lo Stato sacrifica me”. Ed oggi, Sabella, sente di non avere più alcuna alternativa.



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