Che cosa dire? Che cosa dire, davanti a un padre che ha fatto un errore terribile, il più terribile degli errori? Un padre che, tutto preso dall’impeto di andare al lavoro per portare a casa il pane per i suoi figli, si è dimenticato che una di quei figli avrebbe dovuto lasciarla al nido. L’ha lasciata invece in macchina. È morta. Che cosa dire? Solo, mi viene alle labbra un’invocazione: non diamo colpe.



Non diamo la colpa alla società, alla vita moderna, che ci stressa eccetera eccetera. Ho appena letto il bel libro di Hans Rosling, Factfulness, che documenta, dati alla mano, come oggi muoiano infinitamente meno bambini di un tempo. Non solo per i progressi della medicina: “una volta” i bambini erano molto più facilmente lasciati a se stessi, c’erano meno sistemi di sicurezza, meno attenzione, meno tutto, e molti più bimbi morivano per incidenti oggi pressoché scomparsi. Non diamo la colpa alle leggi. Oggi esistono seggiolini “anti-abbandono”, con sensori collegati ad app che ti avvisano se il piccolo rimane nel seggiolino quando la macchina è ferma. “Se fossero stati obbligatori”… Quanto tempo c’è voluto perché diventassero obbligatori il casco, le cinture? 



Non diamo la colpa — men che meno — a quel povero padre. A chi di noi non è successo, nella routine delle abitudini quotidiane, di compiere qualche errore, anche grave, che solo per un colpo di fortuna — per una coincidenza, per un capriccio del destino — non si è trasformato in tragedia?

Se proprio vogliamo dare una colpa, dobbiamo darla all’imperfezione della natura umana. È giusto, è giustissimo che facciamo tutto il possibile per ridurre il margine d’errore. Che introduciamo ovunque sistemi di sicurezza sempre più raffinati. Chissà, forse proprio la tragedia di Pisa spingerà il nuovo parlamento a introdurre una norma che renda i sistemi anti-abbandono obbligatori. Ma il “difetto di fabbrica” di noi umani non lo elimineremo mai. Siamo imperfetti. Siamo limitati. Sbagliamo. Sbaglieremo sempre. Facciamo, ci facciamo del male anche quando non vorremmo. “Quelle povere creature — scriveva Péguy — sono talmente infelici che, a meno di avere un cuore di pietra, come non avrebbero carità le une per le altre”. Noi viviamo in una società della colpa, pronta sempre a puntare il dito su qualcuno (anche Rosling, nel libro citato, spiega che cercare il colpevole non è una strategia efficace per risolvere i problemi). Un dramma come quello di Pisa non può non risvegliare il desiderio di una società della carità. Dove si faccia di tutto, certo, per limitare i nostri errori. Ma dove si possa avere pietà degli errori di ciascuno. Perché sono gli errori di tutti. Per lo meno, sono quelli che potrei fare anch’io.