In una società pervasa da una pornografia strisciante della parola, del comportamento, delle relazioni, fa davvero specie il dibattito penoso che si va diffondendo sul tema dell’allattamento al seno nei luoghi pubblici. Ho tre figli e mia moglie li ha sempre allattati ovunque fosse necessario farlo. Al ristorante, su un treno, in chiesa e perfino, una volta, al circo. E intorno non ho visto altro che discreti sguardi di tenerezza. Ora che qualcuno difenda “il comune senso del pudore” su una questione così profondamente umana, dice quanta confusione regni nelle nostre testoline moraliste post-moderne.
Il moralismo fa paura, perché è direttamente proporzionale all’immoralità di una società. E l’uomo immorale-moralista non sa bene cogliere la vera natura del bene e del male e si appropria così di codici astratti che usa a piacimento proprio per coprire la propria natura corrotta.
Che poi sia l’allattamento al centro della querelle pone alla nostra attenzione un altro, drammatico, sbandamento della nostra mentalità: la considerazione della maternità come fatto esogeno al naturale fluire della nostra esistenza personale e sociale, al suo misterioso apparire sulla scena del mondo, trasferendola dal piano della natura e di Dio a quello astratto della pseudo-cultura.
Non è cosa di poco conto, perché così facendo si vengono separando in infiniti percorsi ghettizzati le tante esperienze umane che fanno unico e grande proprio il nostro mondo. Sembra di assistere ad una sorta di normazione personale e capricciosa dell’esistenza stessa, riducendo la vita nella sua grandezza e complessità ad una serie di semplici comportamenti.
Una società che ha paura dell’allattamento al seno ha seri problemi, nasconde disturbi pericolosi, ha perso il senso della sacralità della vita e della maternità, l’ha ridotta a gesto equivoco.
Grandezza della modernità, asfittica, viziosa, incapace di gettare uno sguardo di tenerezza su una madre e sul proprio bambino, su quel principio vitale che tutti ci accomuna!
Certo qualcuno vorrebbe che i figli potessero essere distribuiti da una macchinetta a gettoni, che non si passasse dal dolore e dal sapore del parto, della carne, con la sua santissima crudezza, con la sua straordinaria e misteriosa religiosità e perfino con un principio di liturgia. Perché è proprio lì che si conosce l’amore di Dio, in quel gesto che accomuna ogni madre alla Madre di Dio.
Solo l’uomo che non ha mai conosciuto cos’è l’amore — l’amore del Padre, della Madre e del Figlio — ha paura di una poppata e la ritiene sacrilega. Ma di quale sacralità stiamo parlando? Di quale pudore e di quale moralità?
Nascondere la vita e nascondere la morte: ecco in cosa consiste la cosiddetta modernità. Nasconderle ai nostri occhi per sentirci in pace, puliti, candidi, tranquilli, rassicurati. Non dobbiamo essere disturbati, nella nostra illusione che tutto proceda secondo gli schemi economici della nostra vita, il cui totale deve essere, nella sommatoria delle gioie e dei dolori, sempre pari a zero.
Oh, è sempre la solita storia: vizi privati e pubbliche virtù. Questa era la morale borghese. Ma oggi si è andati oltre, si è rivisto e corretto il bagaglio degli uni e degli altri per raggiungere l’illusione che nulla debba infettare la nostra esistenza asettica, senza colore, senza sapore e senza odore. E così il seno di una madre è divenuto un vizio, da consumarsi nel chiuso di una stanza, da non vedere. Perché quei bambini che ciucciano sono uno schiaffo alla quiete e dicono che la vita c’è ancora, sotto ogni moralismo, ogni perversione, anche se ben celati da un’etichetta squallida e gelida come il seme del diavolo.