Oggi 20 maggio è il 19esimo anniversario dell’uccisione di Massimo D’Antona, giuslavorista che collaborava alla riforma con il governo di allora del mondo del lavoro. Era infatti il 20 maggio del 1999 quando materializzandosi da un passato lontanissimo e creduto finito per sempre emersero le ombre assassine dei nuovi brigasti rossi. Fu una esperienza fortunatamente effimera la loro, risoltasi brevemente proprio con l’uccisione di D’Antona e sfociata nel nulla: non erano più gli anni 70 e nessuno aveva più intenzione di accodarsi a uno sciocco carrozzone ideologico svuotato di ogni contenuto, se mai le Brigate Rosse ne hanno avuto uno a parte il desiderio di potere. In via Salaria a Roma stamane, il luogo dove il docente universitario venne ucciso, si è tenuta l’usuale commemorazione alla presenza della vedova, del capo della polizia Gabrielli,  la vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, l’ex sindaco di Roma Walter Veltroni e dei leader dei sindacati. C’era anche il ministro per la coesione Claudio De Vincenti che ha ricordato come D’Antona “viveva la politica come impegno ideale a servizio dei cittadini e il suo servizio alle istituzioni andava in questo senso. La vittoria sul terrorismo è la vittoria della comunità democratica italiana, di tutti noi”. Il capo della polizia Gabrielli invece ha ricordato con rammarico come le autorità e le forze dell’ordine non furono in grado di cogliere i segni dell’imminente attacco: “Bastano poche persone per arrecare molti d’anni”.



LA FIGLIA ATTACCA RENZI

Un duro attacco a Renzi invece nelle parole della vedova Olga, parole inaspettate suscitate dalla decisione dell’assemblea del Pd di ieri di congelare le dimissioni di Renzi: “E Maurizio Martina cosa fa? Non può permettere tutto questo. Ragazzi fate qualcosa, quello è entrato in casa nostra, ha sfasciato tutto il mobilio e adesso si è messo a mangiare i pop corn coi piedi sul tavolo”. Va ricordato che Olga D’Antona è stata deputata degli allora DS e sente particolarmente la tensione politica che sta dividendo in due il suo ex partito. Massimo D’Antona subì allora la stessa sorte del collega Marco Biagi, anche lui impegnato nella riforma del mondo del lavoro: per i brigasti i due erano da bloccare perché nella loro logica malata e veterostalinista intaccavano ordinamenti del mondo del lavoro che all’alba del terzo millennio non avevano più senso. Anche il mondo del lavoro era infatti ormai cambiato. D’Antona, Consulente del Ministero del Lavoro, era stato docente di diritto sindacale presso l’Università Federico ll di Napoli, e poi docente di diritto del lavoro all’Università degli studi di Roma “La Sapienza” e alla Seconda Università degli studi di Napoli. In particolare dava fastidio la sua concezione della reintroduzione forzata nel mondo del lavoro di chi non ne era meritevole, in merito all’incoercibilità delle azioni di reintegrazione nel posto di lavoro.

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