Secondo l’articolo 35 del Dpr 396/2000 il nome imposto al figlio deve corrispondere al sesso. E’ così che una coppia di genitori che aveva voluto chiamare la figlia ormai di un anno e mezzo Blu si sono visti recapitare un avviso di convocazione alla procura della Repubblica di Milano. Ma come, in un’epoca storica dove le barriere tra i due sessi sono state abbattute, dove i figli possono diventare transgender, cioè cambiare sesso in qualunque momento, dove addirittura si proclama la neutralità di genere sessuale, ci si sofferma su queste banalità, che tra l’altro fanno comodo a tutti? Cosa c’è di meglio di un nome che non è maschile né femminile per indicare il sesso neutro, qualora in futuro questa bambina non si sentisse né maschio né femmina? Ma la legge è legge, probabilmente ancora per poco, e il procuratore ha letto loro le disposizioni al proposito: “Considerato che si tratta di nome moderno legato al termine inglese Blue, ossia il colore Blu, e che non può ritenersi attribuibile in modo inequivoco a persona di sesso femminile l’atto di nascita deve essere rettificato, anteponendo altro nome onomastico femminile che potrà essere indicato dai genitori nel corso del giudizio”.
I GENITORI CONVOCATI
Se la coppia non si presenterà, il nome lo deciderà d’ufficio il giudice, così prevede la legge. La bambina ha un anno e mezzo ormai ed è abituata a sentirsi chiamare così: “Quando ci siamo presentati all’anagrafe per la registrazione ci avevano avvisato che poteva esserci il rischio di venir richiamati, ma ogni anno, secondo i dati Istat, ci sono circa sette Blu, in prevalenza bimbe. Non ci aspettavamo di dover cambiare nome un anno e mezzo dopo, quando ormai anche nostra figlia sa di chiamarsi Blu ed è scritto ovunque” dice il padre che, aggiunge, cercherà di convincere il giudice che all’estero il nome Blu è tranquillamente permesso.