Si è svolta oggi la nuova udienza del processo d’Appello a Milano per la morte di Giuseppe Uva morto il 14 giugno 2008 dopo un fermo a Varese e che vede imputati alcuni poliziotti e carabinieri. Nella nuova udienza, attraverso i suoi legali è stata resa nota la richiesta della sorella della vittima, Lucia Uva, ora parte civile nel processo per omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato a carico di due Carabinieri e sei poliziotti. “Quattro euro di risarcimento simbolico e che i due carabinieri e sei poliziotti imputati si spoglino per sempre della divisa”: è questa la richiesta avanzata in aula davanti la corte d’Assise d’Appello milanese. Una proposta, quello del risarcimento simbolico (un euro per ogni capo di imputazione) che, come ricorda anche il quotidiano Il Giorno non sarebbe affatto nuova poiché era già stata avanzata dagli avvocati Alberto Zanzi e Fabio Ambrosetti nell’ambito del processo di primo grado a Varese e che nel 2016 si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati dalle accuse. La stessa Lucia Uva, al termine dell’udienza odierna e fuori dall’aula, rivolgendosi ai giornalisti ha aggiunto: “Non voglio che vadano in carcere ma che si spoglino della divisa che portano”.



LA TESI DEI LEGALI DI PARTE CIVILE

Giuseppe Uva morì in circostanze misteriose presso l’ospedale di Varese dopo un precedente fermo avvenuto mentre stava spostando alcune transenne in pieno centro. Fu trattenuto in caserma per diverse ore prima di essere trasportato all’ospedale di Circolo di Varese dove è deceduto per arresto cardiaco. Nella passata udienza del processo di secondo grado, il pg ha spiegato che quella morte fu provocata proprio dallo stress subito e causato dai carabinieri. Anche i legali di parte civile sono d’accordo nel credere che l’operai quella sera fu arrestato illegalmente per un reato non grave, ovvero disturbo della quiete pubblica. In aula hanno spiegato che “Se fosse vivo oggi Uva avrebbe risposto per i fatti di quella notte con una contravvenzione da 150 euro”. Nell’ambito del loro intervento odierno in Corte d’Assise d’Appello a Milano, hanno poi ribadito come nel primo grado “nessuno ha voluto scoprire la verità, tutti quelli che dicono qualcosa contro i carabinieri sono considerati falsi testimoni”. Quindi hanno criticato il modo in cui i teste siano stati definiti inattendibili: “Per dire che un teste è inattendibile lo devi dimostrare: cercare riscontri contro i testimoni si fa solo nei processi contro i carabinieri”, hanno aggiunto.

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