L’esito del referendum abrogativo irlandese del 25 maggio, relativo all’ottavo emendamento introdotto nel 1983 e che riconosceva i diritti degli unborn, è una vittoria netta dei Sì, con il 67% dei votanti e con tutte le 40 circoscrizioni a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento; tutto secondo un copione già visto non solo in Irlanda, ma in tutta l’Europa. Non c’è ancora una legge che permetta l’aborto, ma è stato spazzato via, dalla indubbia volontà popolare, il riconoscimento dell’esistenza di un diritto alla vita anche quando questa ancora non è visibile; la legge arriverà, e senza bisogno che gli irlandesi residenti all’estero tornino per votare, come enfaticamente riportato sulla stampa sia britannica che irlandese.
L’Irlanda è da oggi un po’ più simile alla Gran Bretagna, con il suo royal wedding e royal baby, più laica, più libera, questo il mantra che riecheggia. La modernità avanza e trionfa, i diritti delle donne sono finalmente riconosciuti, l’ipocrisia dell’aborto all’estero o dell’aborto chimico in patria, punibile per legge, è finita, e il progresso avanza. E la cosa più incredibile potrebbe essere che gli stessi che, in tutta coscienza e libertà, hanno votato, come tanti altri prima di loro, per l’aborto, potrebbero essere stati commossi dalla morte di Alfie Evans, anche se forse non hanno provato lo stesso impeto di fronte a Eluana Englaro. Complice anche la stampa, che non ha lesinato immagini toccanti di Alfie nel suo lettino, con tubicini e pupazzi a circondarlo, ma ha sempre mostrato, per Eluana, il padre di lei, quasi a sottolineare che lei non esisteva già più. Nella società dell’immagine, cosa si mostra non serve a veicolare il messaggio, è il messaggio; i cartelloni di un feto che ricordano all’osservatore che non è morto perché non è stato abortito, o che l’aborto è la prima causa di femminicidio in Italia, subito messi sotto accusa a Roma, sono il messaggio, ma sfortunatamente sono un memento vitae che non fa più parte della coscienza collettiva dell’Europa in crisi di natalità.
Il primo atto di amore verso un figlio o figlia è permettere che ci sia, e anche se questo certamente riaffora nell’esperienza personale, individuale, della genitorialità, non fa parte della coscienza collettiva, della percezione di bene e di male, perché è un fatto privato, di una sensibilità personale. Si tratta di una dissociazione emersa a livello culturale certo non col referendum abrogativo di ieri, il cui esito era scontato, e su cui l’unica attesa era forse quella di scorporare il voto (ad es. più bassa è l’età dei votanti, più ampio è il consenso al Sì abrogativo e quindi all’aborto) per capire quanto l’Irlanda sia ormai “alla pari con l’Europa”, e avviare la nuova campagna pro aborto nell’Irlanda del Nord.
Cittadella dopo cittadella, baluardo dopo baluardo, una coscienza della vita certamente cristiana, ma si spererebbe condivisa anche dalla laicità, perde terreno, e ciò è inarrestabile perché è nella coscienza individuale che l’amore alla vita si è fatto “questione personale”, quasi debolezza del cuore, vinto dalla cultura dei diritti individuali. Rimane ammirevole la chiarezza di chi, come Dawn McAvoy dal gruppo antiabortista Both Lives Matter, afferma che “l’idea che le donne oggi abbiano vinto perché potrebbero scegliere di porre fine alla vita del loro figlio non nato è una vision troppo piccola e triste”, e si rammarica che sia venuto meno un baluardo della vita.
Tuttavia la riconquista delle cittadelle e dei baluardi perduti deve fare i conti con la realtà di un fiume in piena che non ha fatto altro che travolgere un ultimo angolo periferico di una realtà che, a livello di coscienza collettiva, non esiste più; per quanto sia giusto e buono attuare ogni tentativo pubblico, sociale e politico di affermare il diritto alla vita, una ripartenza, continua e tenace, è possibile solo da una convinzione. L’interlocutore, in questo caso il pro abortista che è tornato a casa apposta per votare per il Sì abrogativo, non capisce nemmeno la lingua che parliamo, non intende il nostro linguaggio.
Potrebbe, tuttavia, essere interessato da un qualche cammino di conoscenza che trasformi il dolce sentire del cuore verso i bambini, o anche verso i suoi adorati cagnolini, nella certezza del loro essere. Innanzitutto, essere. Anche se sono the unborn.