Finalmente mi fanno commentare una buona notizia. Shaila — questo il nome che le ha dato Il Giorno, che riporta la notizia — ha dieci anni. È nata in Bangladesh. Poco dopo il suo concepimento, il padre è venuto a lavorare in Italia. L’anno scorso è tornato in Bangladesh, ha preso moglie e figlia e le ha portate in Italia con sé. E fra poco avrebbe riportato la piccola laggiù per darla in sposa a un nipote, anni 22. Era tutto già combinato, i biglietti aerei erano già fatti. Ma la mamma di Shaila ha detto no. Durante l’ennesima lite col marito, ha preso i passaporti — il suo e quello della figlia — e li ha stracciati. E quando il padre-padrone, come niente fosse, è andato in questura per denunciare lo smarrimento dei documenti e chiederne il duplicato, lei è andata dalla polizia a denunciare le condizioni in cui erano tenute: il divieto di uscire di casa, l’obbligo per la bimba di studiare solo il Corano, i maltrattamenti. Ora madre e figlia sono in una casa d’accoglienza, tutelate dai sevizi sociali.



È una buona, una buonissima notizia. Perché una donna, per amore della figlia, è riuscita a dire “no”. È riuscita a dire “io”. È riuscita ad affermare la sua dignità. Perché due persone in più sulla faccia della Terra hanno la possibilità di essere se stesse.

Con un nota bene. A mene non viene da lanciarmi contro la cultura da cui quell’uomo proviene. L’idea che le donne siano in qualche modo un possesso degli uomini è un’idea antichissima e radicata pressoché ovunque. Da noi, l’articolo 587 del Codice penale che prevedeva per il “delitto d’onore” pene ridottissime — da tre a sette anni… — è stato abolito nel 1981. Volevo i pantaloni di Lara Cardella è del 1989. Non ripeto qui le espressioni che tanti dei miei studenti usano oggi — oggi — nei confronti delle donne. Non dico queste cose — mi sembra ovvio, ma non si sa mai — per giustificare quell’uomo. Ci mancherebbe. Le dico per ricordare quanto la rivoluzione cominciata duemila anni fa con Paolo di Tarso — “non esiste più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna” — sia davvero una “rivoluzione permanente”, una battaglia sempre da combattere, una conquista sempre a rischio, una verità sempre da riguadagnare.



Oggi abbiamo una buona notizia da festeggiare. Una donna è riuscita a dire “io”. E ha trovato un Paese, un ordinamento giuridico pronto a sostenerla. Anche questa è una conquista da non dare per scontata. Una civiltà che, pur fra mille incertezze, ha fatto sua quella rivoluzione è una civiltà da difendere.

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