Silvia Caramazza aveva 39 anni quando fu uccisa dall’allora suo compagno Giulio Caria nella sua casa in viale Aldini a Bologna. Il suo caso sarà ricordato come il “delitto del freezer” proprio perché i suoi resti furono rinvenuti proprio in un congelatore. Riparte da questo incredibile fatto di cronaca la trasmissione Il Terzo Indizio, in onda stasera su Rete 4. Silvia era una commercialista di professione e lavorava a Bologna. Siamo nel giugno 2013 quando, dopo il grave lutto in seguito alla scomparsa del padre, la donna fa perdere misteriosamente le sue tracce. Dopo non aver ricevuto una sua risposta da giorni, sono le amiche, preoccupate, a denunciarne la sparizione. A quel punto prendono il via le indagini da parte delle forze dell’ordine che prontamente concentrano la loro attenzione sul compagno della 39enne, Giulio Caria, 34enne di origini sarde. Alla fine dello stesso mese, l’uomo viene fermato con l’accusa di omicidio proprio nella sua terra di origine nella quale era tornato, pur respingendo sempre le accuse ed addirittura avanzando altre improbabili piste. Il suo arresto con il conseguente trasferimento dal carcere di Sassari a quello di Bologna avvenne appena pochi giorni dopo una scoperta shock: Silvia, infatti, fu rinvenuta cadavere, nascosta in un congelatore, il 27 giugno dello stesso anno, nell’appartamento nel quale viveva con il compagno. Quel congelatore a pozzetto, Caria lo aveva acquistato solo poche ore dopo aver messo a punto il suo diabolico piano mortale.
SILVIA CARAMAZZA: LA RICOSTRUZIONE DEL DELITTO
Hanno dovuto compiere un lavoro minuzioso, gli inquirenti, prima di arrivare a Giulio Caria, accusato del delitto della compagna Silvia Caramazza, ma alla fine incrociando testimonianze ed indizi a suo carico sarebbero giunti a ricostruire quel delitto inquietante, alla base del quale ci sarebbe un doppio movente: passionale ed economico. La classica goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata la scoperta da parte di Silvia di una microspia in camera da letto e che aveva portato la donna a sporgere denuncia nei confronti dell’uomo con il quale aveva intenzione di chiudere la relazione una volta per tutte. Quella di Silvia è stata una morte che si è compiuta nel giro di pochi minuti, come rammenta Corriere di Bologna nel ricostruire quegli attimi terribili. Terrorizzata, spalle al muro nella camera da letto, la donna sarebbe stata colpita da sette colpi in rapida successione, sferrati con quello che sembra essere un attizzatoio da camino, mai rinvenuto. Poi il suo corpo sarebbe stato messo in un congelatore a pozzetto, rinvenuto in posizione fetale il 27 giugno del 2013 dagli inquirenti che erano sulle sue tracce. Unico indagato, sin da subito, con l’accusa di omicidio volontario aggravato fu Giulio Caria sin da subito. La morte della donna risalirebbe all’8 giugno, dopo essere rientrata a casa da un viaggio a Pavia. La mattina di due giorni dopo due fattorini consegnarono nell’appartamento divenuto teatro del delitto il freezer, ed anche questo sarebbe stato uno dei tanti elementi che avrebbero portato a incastrare Caria. Sebbene abbia sempre smentito un suo coinvolgimento nel fatto di cronaca, il Dna dell’uomo fu rinvenuto sui sacchi neri usati per avvolgere il cadavere di Silvia così come sul lucchetto usato per chiudere il freezer. Interrogato dal magistrato l’uomo ammise di essere confuso e di non ricordare nulla.
I TRE GRADI DI GIUDIZIO E LA CONDANNA
Silvia Caramazza, secondo la ricostruzione avanzata dagli inquirenti, fu uccisa da Giulio Caria perché aveva intenzione di lasciarlo. La donna non sopportava più di essere spiata, seguita, sottoposta a pressioni continue ma l’idea di mettere fine a quella vita agiata spinse il 34enne a mettere a punto il suo piano diabolico. Secondo le indagini, l’uomo effettuò continui e corposi prelievi dalla carta della donna anche quando era solo stata data ancora per scomparsa. Per quel delitto terribile mai confessato, sono stati celebrati i processi per tutti e tre i gradi di giudizio. Caria fu processato con rito abbreviato a fronte di una richiesta di ergastolo e fu condannato a 30 anni di carcere in primo grado dal Gup Gianluca Petragnani Gelosi il 20 settembre 2014, con le accuse di omicidio aggravato dall’aver agito con crudeltà, dallo stalking, oltre che per aver minacciato testimoni e rubato carte di credito della compagna dopo il delitto. La sentenza fu confermata anche in Appello, durante il processo nel quale Caria fu difeso da un avvocato d’ufficio. Infine è arrivata la sentenza in Cassazione, a inizio 2017, che ha scritto l’ultima parola sul drammatico caso di femminicidio: Giulio fu condannato a 30 anni di carcere in via definitiva. La Suprema Corte, tuttavia, cancellò le aggravanti ma non l’entità della pena.