La dinamica della tragedia avvenuta sulla Haute Route, nella quale hanno perso la vita sette persone, è stata ricostruita dal Collegio nazionale guide alpine italiane. Il gruppo era ben organizzato, aveva con sé tutti i dispositivi necessari e le condizioni meteo erano buone quando il gruppo è partito. Tra le vittime c’è Mario Castiglioni, la guida incaricata di portare il gruppo sull’alta via Chamonix-Zermatt. Caduto in un crepaccio mentre provava a raggiungere il rifugio per lanciare l’allarme, è stato ritrovato più sotto rispetto al resto del gruppo. «È stato il primo a morire nella tragedia, non si sa se per il freddo o per una caduta o per entrambe le ragioni», ma con sé aveva «tutti i dispositivi necessari per la sicurezza, Gps, telefono satellitare e smartphone con carta topografica svizzera». Ma questo aspetto contrasta con quanto ha invece dichiarato il superstite Tommaso Piccioli, il quale ha spiegato che si fossero persi diverse volte durante l’escursione, tanto che poi ha deciso di portare avanti il gruppo «perché – ha detto – ero l’unico ad avere un gps funzionante fino a che siamo arrivati a un punto in cui non si poteva più procedere perché con quella visibilità non era possibile». Piccioli si è spinto anche oltre: sostiene infatti che «era una gita difficile non da fare in una giornata dove alle 10 sarebbe iniziato il brutto tempo. Non era neanche da pensarci».



STRAGE ALPINISTI, GUIDE ITALIANE DIFENDONO CASTIGLIONI MA…

Le dichiarazioni di Tommaso Piccioli, unico superstite della strage degli alpinisti, non combaciano con la versione fornita dal Collegio nazionale guide alpine italiane, secondo cui «il gruppo era perfettamente attrezzato per l’itinerario dal punto di vista dell’equipaggiamento» e «le condizioni della neve e le previsioni meteo permettevano di compiere il percorso.». Il peggioramento meteo era «comunque compatibile con il tempo necessario a coprire la tappa che di solito richiede circa 6 ore di marcia». Perplesso Agostino Da Polenza, esperto scalatore bergamasco di 62 anni, guida alpina e noto organizzatore di grandi spedizioni. «La cosa che più mi ha stupito di questa vicenda è come mai nessuno abbia pensato di scavare una buca e infilarcisi dentro. Erano tutti scialpinisti e probabilmente ognuno di loro era dotato di una pala», ha dichiarato al Quotidiano.net. Se si fossero infilati in una buca – per Da Polenza – si sarebbero salvati: «Quattordici persone formano una massa calorica immensa, che probabilmente avrebbe permesso loro di salvarsi. Ma mi rendo conto che con il senno di poi non si possono fare ragionamenti di questo tipo, soprattutto quando ci si trova di fronte all’imprevidibilità di ciò che accade in quota».

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