A sedici anni dal delitto di Cogne, Annamaria Franzoni vive oggi agli arresti domiciliari dopo essere stata condannata in via definitiva a 16 anni per la morte del figlio Samuele. In primo grado la donna è stata infatti condannata a 30 anni di reclusione, poi ridotti di quasi la metà in Appello. In tutto la Franzoni ha trascorso sei anni dietro le sbarre, prima di poter ritornare a casa. Oggi vive con la famiglia, in una nuova casa in provincia di Bologna, con il marito Stefano Lorenzi che non l’ha mai abbandonata, il primogenito di 24 anni e il più piccolo, nato un anno dopo la morte di Samuele. Il caso di Annamaria Franzoni è stato trattato nella puntata di ieri di Storie Italiane, il programma di Rai1, il quale si è concentrato in particolare sulla vita della donna. Ancora oggi, infatti, la Franzoni continua a dichiararsi innocente, attribuendo l’omicidio del bambino di appena 3 anni ad uno sconosciuto. Nessuno della sua famiglia sembra aver mai nutrito dei dubbi sulla sua versione dei fatti, proteggendola grazie al loro sostegno e affetto. Il delitto di Cogne rimane ancora adesso un giallo da chiarire, a partire dall’arma con cui secondo i giudici la donna avrebbe colpito per sette volte il bambino. L’arma del delitto non è mai stata ritrovata, ma ad inchiodare la Franzoni sono stati diversi indizi, a partire dalle numerose tracce ematiche ritrovate all’interno delle sue ciabatte e su alcuni vestiti. Senza considerare il breve lasso di tempo in cui sarebbe maturato il delitto. Troppo pochi i minuti perché si potesse credere ad un’aggressione da parte di uno sconosciuto. 



LA NUOVA VITA DI ANNAMARIA FRANZONI

Ai domiciliari da due anni, Annamaria Franzoni è ritornata a fare la vita da mamma in un’altra città, lontana da Cogne, in una frazione di San Benedetto Val di Sambro. E’ in quel paesino che infatti è morto il piccolo Samuele, il secondogenito nato dall’unione della donna con il marito Stefano Lorenzi ed è nella stessa cittadina che è stato barbaramente ucciso nel 2002. La famiglia possiede ancora la villa nella frazione di Montroz, ricorda Oggi, ma la Franzoni non può avvicinarsi al paese: sono queste le condizioni stabilite dai giudici per i suoi arresti domiciliari. Dopo aver ottenuto l’indulto e ridotto la pena a soli sei anni di carcere, la donna può stare con la famiglia e persino uscire di casa. Ha a disposizione 4 ore al giorno per poter fare le spese e persino pregare sulla tomba del piccolo Samuele. Ad oggi, il marito Stefano lavora per il padre della Franzoni, Giorgio, mentre il primogenito ha lasciato gli studi per entrare nel mondo del lavoro. Due anni fa, la donna ha anche cercato di ottenere l’affidamento in prova del figlio minore, Gioiele, richiesta tuttavia rifiutata dal Tribunale di sorveglianza di Bologna. L’anno scorso invece la Franzoni è stata condannata a risarcire l’avvocato Carlo Taormina che l’ha difesa nelle varie fasi giudiziarie ed a cui dovrà corrispondere 275 mila euro come mancato compenso. 



LA VERSIONE DELLA FRANZONI SULLA MORTE DI SAMUELE

Il delitto di Cogne rimane nella memoria dei cittadini italiani come una delle pagine più tragiche della cronaca del nostro Paese. Rimarrà nella storia la morte del piccolo Samuele Lorenzi, ritrovato in apparenza dalla madre Annamaria Franzoni all’interno della villa di famiglia mentre vomitava sangue. E’ questa la versione che la donna fornirà al 118 nella mattina del 30 gennaio di 16 anni fa. Il bambino appare subito grave ai soccorsi, che richiedono il trasporto immediato all’ospedale di Aosta. Il piccolo di 3 anni morirà tuttavia in eliambulanza: le sue condizioni erano fin troppo gravi. Al loro arrivo, i medici però sono in grado di smentire subito le parole della Franzoni. Samuele ha il cranio fracassato in diciassette punti ed ha altre ferite alle mani. Le indagini dureranno in tutto sei anni, ripercorrendo ogni attimo della vita della donna. Soprattutto per via di alcune affermazioni fatte a vari testimoni riguardo ad una possibile disabilità del bambino. La Franzoni è sempre stata convinta che il piccolo abbia la testa troppo grande, quasi ossessionata che potesse essere malato. Una verità che emergerà dagli atti delle diverse sentenze e che contribuirà a dare una pallida spiegazione al raptus omicida. Otto minuti di tempo: è questo il periodo trascorso secondo la donna fra la sua uscita di casa, per accompagnare il primogenito a scuola, ed il suo rientro. Troppo pochi secondo i giudici perché un malintenzionato entrasse nella villa, indossasse gli indumenti e le ciabatte della Franzoni ed infine uccidesse il piccolo, abbandonando il posto senza essere vivo e senza lasciare altre tracce.

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