Alla Romanina la gente va in gita per fare shopping, i bambini ai fast food e sulle giostrine e i padri a fare la schedina da qualche parte. Ma il bar di via Bazilai è solo un bar di periferia, non gode dello struscio festaiolo e della sicurezza dei centri commerciali. Il dì di Pasqua di quest’Anno del Signore, 2771 del natale di Roma, le telecamere di sicurezza  del locale filmano una tranquilla ora di paura. Due figuri entrano, si avvicinano a chiedere delle sigarette, pretendono di essere serviti all’impronta, senza aspettare il proprio turno. Solo una ragazza protesta, non accetta il sopruso, e viene picchiata con sprezzante sicumera, con calci e cinghiate. 



E’ una donna disabile, vigliacchi. Tacitato il barista, un ragazzo rumeno, che solo per averla difesa pagherà caro, mezz’ora dopo, quando il terrore si esprime in un raid per sfasciare bar e cameriere, tanto da mandarlo in ospedale. La colpa, aver alzato la testa davanti ai rampolli dei Di Silvio e Casamonica. Nomi ben noti, nella Capitale, sono quelli da cui comprate i panini e le birre davanti allo stadio, ai concerti, che un tempo gestivano le bancarelle di piazza Navona, i famosi bibitari che ti spacciano porchetta di cane e acqua di dubbia provenienza a due euro la bottiglietta. Quelli che per un  funerale del boss hanno fatto piovere petali di rosa dall’elicottero, sul carro funebre trainato da cavalli e séguito in marsina, come scandalosamente si è visto in tutto il mondo, dando il segno di quel che è Roma.



Suburra, come la immortala una ben nota fiction tv. Sporca, degradata, in mano alla criminalità, quella in colletti bianchi, che gestisce i soldi dei poveri, per intenderci, con la complicità dei partiti che sventolano la loro supposta superiorità morale; quella sporca, che domina Ostia, piglia a testate i giornalisti, opprime la gente con il terrore e non ha paura di nessuno. Perché nessuno ostacola davvero, nessuno vigila e colpisce davvero. Giusto, ovvio indignarsi, ragionare su quale stato europeo o paesino di provincia potrà presto accogliere come esuli chi ha la sventura di abitarla, Roma, per lasciarla ai topi e alle nutrie grasse del Tevere. 



Un tempo ci pascolavano le pecore, tra le rovine ammuffite, ed erano ancora bei tempi. Ma l’indignazione dei politicanti, quella no. L’ineffabile Virginia si sfoga con un tweet che non si nega mai e impegna poco. “Inaccettabile!”. Ma va? Lo dice anche per i cumuli di monnezza che strabordano dai bidoni maleodoranti, lo dice per i giardini coi giochi divelti e le erbacce alte un metro, per i soffitti che crollano in classe, lo dice per i senzatetto che trovano asilo solo in Vaticano e alla Caritas, lo dice per ogni evento criminale che sprofonda vieppiù Roma in un girone invivibile. Oh certo, anche Londra è violenta, ci si consola. Ma se ti sei candidata a governarla, questa città, lamentele e indignazione servono a poco. Le consorterie ti bloccano, le mafie ti raggirano e frenano ogni slancio? E’ lei che ha sfoderato sicumera e sciorinato promesse. 

Dalla fatina in azzurro firmato Balestra ci si aspetta che muova la bacchetta magica non solo per trovare assessori, dato che uno ad uno quelli scelti e riscelti abbandonano, per manifesta incompatibilità e impossibilità a fare alcunché. Cinque anni per un mandato sono pochi, quando si lavora. Nel caso dell’attuale giunta che siede in Campidoglio (in Campidoglio! Ma il fulmine di Zeus non li colpisce, il sacro timore reverenziale non li infiamma?) di anni ne sono ne sono passati appena due, e sono tantissimi. C’è da tremare, a pensare che ne mancano ancora tre.