Secondo un sondaggio stilato e pubblicato oggi da Skuola.net, quando si parla di “allargare la memoria per Aldo Moro” potrebbe non essere una questione da tenere tanto in secondo piano: «più della metà degli studenti non sa chi sia Aldo Moro». Proprio così: c’è chi lo ritiene il Segretario del Partito Comunista, chi il Presidente della Repubblica e chi ammette, candidamente, che per lui è uno “sconosciuto”; i dati choc del sondaggio di Skuola.net fanno emergere una grave carenza all’interno delle scuole medie e superiori italiane. Al netto dei vari studi “sociologici” che si possono compiere più o meno a ragione, il rischio forte che gli studenti stiano perdendo pian piano le radici della storia recente d’Italia è assai presente. Se poi si allargano le domande a Peppino Impastato, giornalista e attivista politico ucciso dalla Mafia lo stesso giorno di Aldo Moro, i risultati sono ancora più imbarazzanti: «soltanto uno studente su tre ha conosciuto in classe le due figure». Non solo, quando viene chiesto cosa successe di importante nella storia d’Italia il 9 maggio 1978, gli esiti sono alquanto inquietanti per la conoscenza culturale scolastica: disastro del Vajont, Strage di Ustica e altri strafalcioni (tipo il ritrovamento del corpo di Falcone, confuso con lo statista Dc) che non individuano la risposta giusta neanche per sbaglio, appunto.
LA PREGHIERA DI PAOLO VI E IL DOLORE PER UN AMICO
Sono passati 40 anni anche da quel grido di dolore, quella preghiera a Dio pronunciata in Piazza San Pietro da Papa Paolo VI qualche giorno dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro e i funerali in forma privata, come voluti dalla famiglia in pieno contrasto con lo Stato italiano. Papa Montini era amico e confessore, come noto, del Presidente Dc e fu tra i principali fautori del possibile pagamento del riscatto (tanto che uno dei misteri che aleggia attorno alla morte di Moro riguarda proprio una “linea” dei servizi segreti che fermò il pagamento quasi imminente di 10miliardi di lire proveniente dal Vaticano qualche giorno prima del 9 maggio, ndr). Quel giorno però – era il 13 maggio 1978 – in piazza assieme a migliaia di persone non c’era solo un Pontefice, ma anche un amico addolorato e tormentato per una tragedia infame. Paolo VI parla del “De profundis” per un amico e per un politico che fece la storia dell’Italia: «E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui», si legge nella prima parte della preghiera in memoria di Moro. In un altro, importante passaggio, il Papa pregò per quegli assassini che avevano attaccato lo Stato e con esso tutti gli italiani: «o Signore, fa’ che, placato dalla virtù della tua Croce, il nostro cuore sappia perdonare l’oltraggio ingiusto e mortale inflitto a questo Uomo carissimo e a quelli che hanno subito la medesima sorte crudele; fa’ che noi tutti raccogliamo nel puro sudario della sua nobile memoria l’eredità superstite della sua diritta coscienza, del suo esempio umano e cordiale, della sua dedizione alla redenzione civile e spirituale della diletta Nazione italiana!».
FIORONI: “COMPROMESSO STORICO? NO, DEMOCRAZIA INTEGRALE”
Moro dai suoi ex compagni Dc è visto come un “monolite” a cui guardare, sia chi ha sempre condiviso le battaglie della sua “sinistra riformista” e sia chi invece si è sempre più identificato con l’opposizione interna di Andreotti. Nel giorno in cui si celebrano i 40 anni dal delitto che cambiò la storia politica della nostra Repubblica per sempre, Beppe Fioroni – docente universitario, ex ministro e parlamentare e ovviamente presidente della Commissione d’Inchiesta sul rapimento Moro – lo ricorda su AgenSir con una lunga intervista: «se Moro è stato rapito e ucciso è proprio per quello che ha rappresentato sul piano dei valori della politica. Per le Br e per tutti i terroristi i veri nemici non sono quelli che gestiscono il potere, ma quelli che hanno la forza delle idee, la forza di un pensiero che sa trasformarsi in azione e riforme». Il disegno dell’allora presidente Dc, secondo Fioroni, era quello di voler allargare la base popolare della democrazia con una condivisione maggiore di alcuni valori fondamentali ben al di là delle appartenenze dei singoli partiti. «Moro era l’architrave del disegno di rigenerazione della democrazia italiana», spiega ancora l’ex ministro Pd. Non ha dunque più molto senso “liquidarlo” con la mera espressione di “artefice del compromesso storico”, proprio perché in questo modo «si impedisce di cogliere la grandezza e la profondità della sua visione. L’obiettivo di Moro era quella che lui stesso definiva “democrazia integrale” e il cui presupposto era lo sblocco del sistema democratico», conclude Giuseppe Fioroni.
MATTARELLA, “CAPÌ L’IMBARBARIMENTO DELLA POLITICA”
Aldo Moro capì prima di tanti (e forse di tutti) l’imbarbarimento della vita politica e civile italiana: lo ha detto questa mattina il Capo dello Stato Sergio Mattarella nell’incontro al Quirinale sulla morte del grande statista Dc e del giornalista ucciso dalla Mafia lo stesso giorno, Peppino Impastato. «Oggi a 40 anni dalla quella tragedia sentiamo il bisogno di liberare il pensiero e l’esperienza politica di Aldo Moro da quella prigione in cui gli aguzzini hanno spento la sua vita e pretendevano di rinchiuderne il ricordo. L’ex presidente della Dc», ha aggiunto ancora Mattarella, «aveva una straordinaria sensibilità per ciò che si muoveva all’interno della società». Secondo il Presidente della Repubblica, tra i grandi meriti dello statista sardo fu l’aver intuito prima «la pericolosità di tanto ‘imbarbarimento’ della vita politica e civile. Ma al tempo stesso continuava a scrutare i tempi nuovi che avanzano. Le stesse lettere dal carcere brigatista restano una prova della sua umanità, della sua intelligenza, della sua straordinaria tenacia». Non riesce a trattenere Mattarella un piccolo, ma significativo, riferimento alla condizione attuale della politica nel Paese, con la mancanza di un governo e un rischio di nuove elezioni anticipate: «Battendo il terrorismo abbiamo appreso che ci sono momenti in cui l’unità nazionale deve prevalere sulle legittime differenze. […] Vi sono momenti che richiamano a valori costituzionali, a impegni comuni, perché non divisivi delle posizioni politiche ma riferiti a interessi fondamentali del Paese, in questo senso neutrali», conclude il Capo dello Stato.
GENTILONI, “SUO DELITTO PESA SULLA COSCIENZA DELLA REPUBBLICA”
Era proprio il 9 maggio 1978 quando Aldo Moro, Presidente della Dc e uomo più in vista della politica nostrana assieme ad Andreotti e Berlinguer, venne ritrovato cadavere dopo 55 giorni di sequestro (dopo la tragedia di Via Fani) nel baule di una Renault 4 rossa in Via Caetani. Trovato nell’ormai celebre “via di mezzo” tra le sedi di Pci e Dc, quel dialogo insperato per anni che proprio Moro seppe portare avanti con il sogno non tanto di un “partito comune” come molti erroneamente sostengono, ma di un progetto di alternanza politica che poteva (e può) fare il bene del Paese. Le Brigate Rosse interruppero quel “progetto” e in maniera brutale, con ancora una serie di misteri e conti che non tornano, uccisero il Presidente della Democrazia Cristiana. Oggi il premier uscente Paolo Gentiloni ha voluto ricordare in questo modo l’omicidio Moro, mentre il Capo dello Stato Mattarella metteva le corone di fiori in via Caetani: «Quaranta anni fa le BR lasciavano in via Caetani il cadavere di Aldo Moro. L’Italia rende omaggio alla memoria di un vero statista. La sua visione politica e culturale ha segnato il nostro Novecento. La sua uccisione pesa sulla coscienza della Repubblica». Un delitto orrendo, accompagnato da 40 anni di polemiche che ancora oggi non vedono chiarito per bene cosa e chi decise la morte del professore: la famiglia Moro, allora come oggi, è assai polemica con uno Stato che non avrebbe fatto tutto quanto possibile per salvargli la vita. Rifiutò anche i funerali di Stato, con Papa Paolo VI (amico e confessore di Moro) che avrebbe addirittura tentato di pagare il riscatto ma venne in maniera misteriosa fermato a pochi giorni dal delitto vero e proprio.
IL DISCORSO DEL 1968
Insomma, segreti, misteri, dettagli sfumati e una grande cornice di triste coscienza di un politico tra i più segnanti del Novecento italiano che vide finire i suoi giorni in uno scantinato romano davanti alla “ribellione armata” di un gruppo di terroristi comunisti giovanissimi. Aldo Moro è anche quello, ma non solo: oggi l’AgenSir lo ricorda con lo splendido discorso tenuto nel 1968 davanti al Consiglio Nazionale della Dc dove vide con dieci anni in anticipo le trasformazioni sociali e culturali che hanno poi accompagnato la politica dal suo delitto fino di fatto ai giorni nostri. «empi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai. Il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d’ombra, condizioni d’insufficiente dignità e d’insufficiente potere non siano oltre tollerabili, l’ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze all’intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i giovani, sentendosi ad un punto nodale della storia, non si riconoscano nella società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità», raccontava Aldo Moro davanti ai colleghi Dc. Ancora più importante il passaggio che “sembra guardare” all’oggi, alle sfide che la società italiana è chiamata anche in questi giorni a dover prendere: «oggi dobbiamo governare e cioè scegliere, graduare, garantire, ordinare, commisurare razione ai rischi che sono tuttora nella vita interna ed internazionale, ma sapendo che il mondo cambia per collocarsi ad un più alto livello».