I paesi europei hanno lasciato l’Italia sola. Integrare si può e si deve, ma con intelligenza: non si possono accogliere tutti, dice al Sussidiario mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale (Palermo). La Sicilia è la frontiera dell’immigrazione italiana, e proprio mentre Francia e Italia si scontrano sulle politiche di accoglienza, la nave Diciotti è arrivata a Catania con 932 migranti.
Monsignor Pennisi, cosa pensa del caso Aquarius?
Si tratta di una situazione ambigua, perché gli immigrati sono stati trasbordati sull’Aquarius anche da navi militari italiane (la motovedetta della guardia costiera italiana CP319, ndr). Poco fa è attraccata a Catania la nave Diciotti, con quasi mille migranti a bordo. Che gli altri siano stati lasciati in balia del mare, mi pare una cosa strana.
E cosa pensa di questo cambio di passo nelle politiche migratorie italiane?
Obiettivamente, il passo compiuto dal governo di alzare un po’ la voce ha richiamato l’Europa alle sue responsabilità. L’Unione Europea non può limitarsi a pacche sulle spalle e telefonate di solidarietà, deve affrontare in modo responsabile questo fenomeno che non è di breve durata ma epocale. Però i paesi europei hanno lasciato l’Italia sola, questo va detto.
E adesso?
Alzare la voce qualcosa può smuovere, ma non risolve il problema. Tocca agli Stati rendersi reciprocamente interlocutori per affrontarlo in modo serio. Il regolamento di Dublino va cambiato, ma anche qui c’è qualcosa di contradditorio: i governi amici del nostro attuale governo sono quelli (il gruppo di Visegrad, ndr) che poi nei fatti hanno chiuso a che tutti i paesi europei possano accogliere una quota di immigrati.
A questo proposito, che soluzione auspica?
Se il flusso dei migranti venisse suddiviso in modo ragionevole fra Grecia, Malta, Italia, Francia e Spagna e se anche altri paesi fossero ricettivi, faremmo un serio passo avanti.
Il governo intende consentire di sbarcare solo a navi militari italiane, non a quelle di Ong, che sono a tutti gli effetti navi private.
Non si può generalizzare. Conosco Ong che fanno un lavoro umanitario assolutamente meritorio, ma qualcuno nutre il sospetto, da provare, che qualche Ong abbia un accordo con i mercanti libici di carne umana.
Lei che dice?
Se queste Ong impegnate sul campo battono bandiera tedesca, olandese, spagnola eccetera, perché Germania, Olanda, Spagna non si fanno carico di quei migranti? Potrebbero attraccare in un porto italiano e poi far proseguire le persone nei paesi di destinazione.
Qual è la soluzione che la convince di più?
Quella dei corridoi umanitari, perché con la collaborazione di ambasciate e consolati si identificano le persone bisognose di protezione e il loro viaggio è tutelato. Ho conosciuto un immigrato che ha speso 7mila euro per venire in Italia dal Bangladesh e poi è stato derubato in Libia.
La crisi migratoria nasce nell’Africa subsahariana. Senza un impegno su quel fronte, non resteremo sempre impotenti?
Non conosco bene gli Stati dell’Africa subsahariana, tranne il Burkina Faso dove un mio ex alunno è direttore della Caritas della capitale, però posso dire senz’altro che laggiù l’Europa non c’è. Ci sono le organizzazioni umanitarie, ci sono i singoli stati, e tra questi la Cina, che fanno i loro interessi. Ogni politica di sviluppo funziona se le persone vengono aiutate sul posto. Conosco la Tanzania, è uno Stato con una stabilità politica, laici e gruppi cristiani di ogni confessione stanno investendo molto in istruzione e sanità, anche la mia diocesi ha fatto la sua parte: abbiamo attrezzato una sala parto in un villaggio, tempo addietro abbiamo costruito asili, un convitto per ragazze di un liceo scientifico. La Tanzania non solo in questi anni non ha mandato nessun migrante, ma ha accolto circa un milione di profughi dagli Stati confinanti.
Qual è il cuore di una vera politica di sviluppo?
Un aiuto alle persone fuori da logiche speculative. Purtroppo la collaborazione internazionale fatta attraverso i governi spesso ha finanziato i governi locali, non le opere e i popoli.
E il cuore di una politica migratoria?
Saper tenere conto di vari fattori, prima di tutto l’accoglienza ma anche la sicurezza.
Si possono accogliere tutti?
No. Occorre un’accoglienza aperta, benevola ma equa. Di nuovo, parlo delle realtà che conosco, non mi pronuncio su ciò che accade da altre parti. In Sicilia la gente è accogliente, ci sono comuni dove gli immigrati, invece di essere fatti oziare, vengono impiegati in piccoli lavori socialmente utili. E’ un inizio di integrazione, a mio modo di vedere fondamentale. Nella mia diocesi c’è un piccolo comune, Roccamena, dove un bambino immigrato è stato battezzato, il sindaco gli ha fatto da padrino, è stata una festa per tutti. Nel comune Balestrate in questi giorni si svolge un campo estivo per bambini da 3 a 5 anni al quale partecipano due bimbi nigeriani, due cinesi e alcuni venezuelani. A Montelepre si tiene ogni anno una sacra rappresentazione della Bibbia con centinaia di personaggi, in questi anni si sono coinvolti anche i migranti.
Avete strutture diocesane che ospitano immigrati?
No, lo facciamo nelle parrocchie, dove questo è possibile, a spese nostre, senza volere nulla dalla prefettura. La Caritas mi ha detto che in questi anni abbiamo accolto circa 750 migranti spendendo 30mila euro dei fondi dell’8 per mille. Possiamo provvedere all’emergenza, poi tocca alle prefetture.
Perché ci tiene a sottolinearlo?
Perché le soluzioni non possono essere estemporanee, le persone vanno sistemate in modo dignitoso altrimenti l’accoglienza diventa controproducente.
Cosa pensa dell’ipotesi di rimandare indietro i migranti economici?
Non sono d’accordo, la Sicilia è stata per decenni una terra di emigrazione, e lo è stata per necessità economiche. Non è facile distinguere, mi rendo conto, e certamente la cosa va razionalizzata. Non si possono accogliere tutte le persone possibili e soprattutto quelle che si accolgono bisogna integrarle. Perché questo avvenga al meglio ci vogliono centri piccoli, vedere fino a 4mila persone di etnie e religioni diverse in un Cara (centro accoglienza richiedenti asilo, ndr) come quello di Mineo non ha senso, fa male a noi e a loro.
Dal punto di vista operativo, quali sono i pilastri dell’integrazione?
Una organizzazione di carattere amministrativo molto efficiente, persone culturalmente senza pregiudizi e rispetto della sicurezza. Se qualcuno delinque, deve sapere che viene subito rispedito a casa.
(Federico Ferraù)