Alice Signorini era una bellissima ragazza. Il padre, Paolo, era morto nel 2015 dopo una lunga malattia e la mamma lo aveva seguito a dicembre scorso, per colpa di un tumore. E Alice, che combatteva da sei anni contro l’anoressia, non ce l’ha fatta. Nonostante i medici le avessero dato il permesso di ricominciare a lavorare, ieri il cuore non ha retto e così è stata trovata morta dagli amici. Morte chiama morte. Dai genitori dovrebbe arrivare la vita ma in questo caso, senza colpa di nessuno, i genitori hanno portato la morte.
La morte è una realtà della vita e il vangelo ci insegna che a volte la morte serve affinché la vita venga fecondata e si riproduca. Ma quando la morte propaga se stessa è terribile. Nella storia Alice ci sono prima due tumori e poi l’anoressia, che conducono questa 26enne in un gorgo dove annega. Non sono il dolore e la sofferenza il vero male da combattere ma la solitudine. La solitudine nella sofferenza e la solitudine nel dolore. Muoiono i genitori e pare che il mondo divenga permeato di un’indifferenza che ci fa sentire invisibili. Così dimagrisci. Dimagrisci per essere ancor di più un fantasma, per non disturbare, per passare inosservata mentre il dolore prende il posto del corpo, della pelle e innerva ogni fibra della vita.
Quando si è inghiottiti in questo vortice nero è difficilissimo rialzarsi dal dolore di una sola morte: figurarsi se le morti sono due. E così morte chiama morte, sofferenza chiama sofferenza. Ed Alice muore da sola.
Non è colpa di nessuno, sia chiaro, non ce l’ho con gli amici. Ma c’è un’enorme distanza tra chi muore circondato dai propri amori e chi muore da solo perché la vita è diventata un peso troppo grande. Non dovrebbe accadere ma accade e dovremmo interrogarci. Viviamo tutti nel superfluo eppure non ci salutiamo, non ci prendiamo cura gli uni degli altri, non ci parliamo. E, andando sempre di corsa, con obiettivi di successo sempre più azzardati, ci dimentichiamo spesso dei più deboli, dei più fragili, dei bambini, degli anziani: di chi, insomma, ci costringerebbe ad apprendere l’arte del custodire, del combattere la cultura della morte. Che non è solo essere contro l’aborto e l’eutanasia ma anche combattere l’anestesia dei sentimenti e dell’empatia. E questo forse è il male più grande del nostro tempo.