Roma nord, pista ciclabile, non ha ancor dieci anni. C’erano aiuole di piante odorose, fioriere, fontanelle e giochi d’acqua. Tutto divelto, strappato, scritte oscene, erbacce e topi. La ciclabile rotta e oltraggiata. Tende rom dove doveva esserci un pastore con gregge di pecore.
Villaggio Olimpico, potrebbe essere un piccolo paradiso, nel verde. Dequalificato, ostaggio di roulottes zingare, piazzole con rovi, mercatino stile suk la mattina.
Le strade intorno allo stadio son percorsi no limit per fuoristrada, con montagnole e squarci nell’asfalto di radici che emergono, si gonfiano, spaccano.
Giardinetto intitolato da due mesi alle vittime dell’attentato di via Fani: volonterosi sabato scorso hanno raccolto lattine e rifiuti, dove giocano i bambini si accampano di notte barboni, che quando piove si sistemano nell’androne della banca, dove incauti vorrebbero accedere al bancomat.
Cassonetti maleodoranti strabordano di sacchi buttati alla rinfusa, che vengono rovistati ogni mattina da signore con carretto al seguito, che gettano quel che non è accettabile sul marciapiede. Parlo di quel che conosco, in un raggio limitato intorno a casa. Dal particulare all’universale, lo stadio della Roma, con l’ennesimo j’accuse di un partito all’altro, di un movimento di supposti onesti ai disonesti di prima, che non esercitando più il potere si rendono improvvisamente fautori di una ritrovata innocenza e danno lezioni di moralità.
Roma pare irredimibile. I romani paiono irredimibili. Perché si può accusare l’eventuale governo ladro, ma se i ragazzi spaccano gli arredi pubblici, se i senza fissa dimora bivaccano per le strade, se agiati condomini gettano accanto ai bidoni della spazzatura materassi e ferraglie e mobili rotti il governo della città c’entra poco. O c’entra in quanto non esercita il diritto dovere di controllo, contravvenzione, repressione. Aveva ragione tanti anni fa Alberto Fortis, che provocava con il refrain: io vi odio voi romani, io vi odio tutti quanti, brutta banda di ruffiani e di intriganti? C’è un inizio, al peggio? No. Non che io sappia. I romani de Roma citano come esseri favolosi Argan e Petroselli, animali leggendari il cui spirito aleggia sul declino. Non c’ero, ma dando un’occhiata alle periferie datate, anche i loro occhi devono essersi socchiusi, forse per disperante impotenza. I più dotti ricordano invasioni e aggiustamenti agli invasori, da farci l’abitudine. Gli anticlericali danno la colpa ai papi, i locali a Savoia. Credo semplicemente che qui si associno, essendo la città più grande, l’unica metropoli d’Italia, i caratteri peggiori che ci fanno riconoscere all’estero, e ci bollano con etichette indecorose.
A Roma però s’accasano genti da ogni dove del paese italico, e da ogni paese del mondo. Diventando, immantinente, romani nel senso peggiore del termine. Corruttibili, trasandati, menefreghisti, spacconi, cinici. Giri in città e questi vizi li respiri tutti, ad ogni angolo, con un senso di soffocamento che opprime, e ti fa venir voglia di andar via, di lasciare tutta questa bellezza al degrado e alle sue rovine. E’ stato così per secoli. Qualche volonteroso emerso da guerre atroci ha avuto la volontà e il coraggio di tirarsi su le maniche, e darsi da fare per ricostruire. Si può fare, come si fa altrove, perché se passeggi per Amsterdam o per Milano lo vedi, che si può. Non tutto è perfetto ma è meglio. E Amsterdam e Milano, ci perdonino, sono infinitamente meno belle di Roma.