Il caso della nave Aquarius ha costituito, a tutti gli effetti, un sasso nello stagno. Come è noto, i consensi nei confronti della presa di posizione adottata dall’attuale ministro dell’Interno Matteo Salvini sono stati pressoché uniformi (con la sola eccezione della sinistra). Ma soprattutto sono stati tanto più interessanti quanto più successivi a tre mesi di conflitto diretto e alla costituzione di una compagnie di governo tra le più impegnative e dibattute degli ultimi anni. 



Come accade per tutte le prese di posizione che riescono a coalizzare un ampio fronte di consensi, anche in questo caso entrano in gioco variabili diverse. Accanto al fronte ampio del “no all’immigrazione” — almeno nelle forme anomale e di fatto incontrollabili, nelle quali un tale fenomeno si sta attuando — si è aggiunto uno scatto di orgoglio nazionale, analogo a quello registrato subito dopo il 24 maggio, quando il settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato le vignette ironiche e offensive nei confronti dell’Italia. Le reazioni di sdegno sono, per certi versi, immediatamente comprensibili: nessun popolo ama essere svillaneggiato dagli altri Paesi e se il termine di “sovranista” fino a qualche settimana fa sembrava avere un significato solo per la destra estrema, grazie agli insulti provenienti dalla Germania prima e dalla Francia poi, è adesso un termine molto più diffuso e molto più vicino al comune sentire di quanto non lo fosse fino a un mese fa.



Resta da spiegare sia la ragione di una simile rottura dei normali protocolli di comunicazione da parte di un paese come la Francia, quanto la reazione, a molti apparsa inattesa, da parte dell’opinione pubblica italiana nell’approvare una scelta in sé difficile e densa di conseguenze quale quella fatta dal ministro dell’Interno. Ciò obbliga a prendere atto di uno scenario di fondo che da tempo caratterizza la rappresentazione dell’Italia a livello europeo.

L’Italia porta con sé, da decenni, un’immagine ipercritica di se stessa che non ha equivalenti negli altri paesi europei. Il nostro sistema di democrazia parlamentare, con la sua instabilità strutturale, i suoi dibattiti al vetriolo, gli insulti e, oramai da molti anni, l’incursione diretta della magistratura, ha corroso e tuttora corrode profondamente l’immagine delle istituzioni nazionali. Ciò presenta delle ripercussioni tanto all’interno, tra la maggioranza dei cittadini, quanto all’esterno, sulla ribalta internazionale. Nel primo caso si è registrata un’erosione spettacolare dei partiti tradizionali; nel secondo caso si è rinforzata sempre di più l’immagine dell’Italia come “sorvegliata speciale” dell’Europa, nella quale la credibilità delle istituzioni e la capacità dei governi sono costantemente sotto osservazione. 



Quest’ultimo atteggiamento è oramai strutturale ed ha sedimentato un’attitudine critica consolidata. Era il 16 gennaio 1984 quando il più che equilibrato Le Monde pubblicava in prima pagina il pesante articolo “L’Italia malata di corruzione” che avrebbe sollevato le proteste dell’allora premier Bettino Craxi e che sarebbe stato il primo di una serie ininterrotta di giudizi sull’Italia, tanto sprezzanti quanto inclementi, arrivata fino ad oggi. La leggerezza con la quale tanto il presidente Macron quanto qualche deputato del movimento da lui fondato sono intervenuti sulla questione è testimone della leggerezza e della superficialità con la quale spesso si guarda al caso italiano.

Ogni incursione dei paesi del Nord Europa, specialmente quando appare sopra le righe usando toni di condanna sommaria, come è accaduto nel caso dell’Aquarius, riapre così in modo costante una ferita strutturale, proveniente da un’attitudine a considerare l’Italia come un paese fragile, nel quale solo l’inventiva ingegnosa di qualcuno salva da una catastrofe eternamente alle porte. Il consenso dato alla reazione “sovranista” del ministro dell’Interno è direttamente proporzionale al senso di frustrazione che, di fatto, è molto più diffuso di quanto non si creda. 

Ma se il consenso tributato a Salvini è rivelatore di un tale malessere rimasto fino ad oggi sottotraccia, la superficialità dei partner europei nei confronti di un Paese visto come eternamente caratterizzato da precarietà istituzionali quanto da devianze morali, non può che aggravarlo, alimentando reazioni incontrollabili. Nel caso, sempre auspicabile, del ristabilirsi di proficui rapporti internazionali, non occorrono tanto delle scuse, quanto la liquidazione proprio di un tale stereotipo non più praticabile.