Emergono altri dettagli del reportage de Il Giornale su Meriem, ragazza padovana di ventidue anni che ha aderito all’Isis. La ragazza è ricercata per terrorismo, ma il suo obiettivo è unicamente quello di tornare in Italia e di chiedere il perdono della madre e del padre. Arrivata nella capitale del Califfato, la giovane si è subito accorta che la situazione era diversa da quanto in un primo momento immaginato: “Ho visto il vero Isis e non è lo Stato islamico che credevo. L’orrore dei bombardamenti (alleati, nda) mi terrorizzava. Quando ho aperto gli occhi era troppo tardi”. Meriem si è sposata con un palestinese e da lui ha avuto due figli: Farouk di un anno e mezzo e Basim di sei mesi. Lei ha provato a scappare, come sottolinea successivamente: “Volevo fuggire. Mi sono fatta inviare dei soldi da papà, ma sono stata presa e sbattuta per 52 giorni in una celletta”. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)
ISIS, MERIEM PENTITA
Meriem Rehaily è da sei mesi prigioniera dei curdi in Siria. La 22enne padovana è ricercata internazionale: è stata condannata a 4 anni per aver aderito all’Isis, quindi per terrorismo. Ma ora si dice pentita e chiede di tornare in Italia, anche se questo comporta il fatto di andare in carcere. «Almeno riabbraccio la mamma che mi manca tanto» ha detto all’inviato del Giornale che le ha parlato. Viveva come una normale adolescente, poi si è ritrovata in Siria. «Ho subito il lavaggio del cervello. Ho fatto l’hacker per l’Isis». Fuggita da casa per raggiungere la Siria come combattente dell’Isis, ha due figli e sa bene che sulla sua testa pende una condanna in contumacia emessa il 12 dicembre scorso dal Tribunale di Venezia. Ora la padovana di origini marocchine si trova nella tendopoli di Roj, nel nord est della Siria, dove si trovano in custodia un migliaio di mogli dell’Isis con i loro bambini. «Sono una terrorista per il governo, ma in Italia non ho fatto niente», si difende.
L’AVVOCATO NON CREDE A MERIEM: “USATA DA QUALCUNO”
Meriem Rehaily si è sposata con un palestinese che ha combattuto contro i soldati di Bashar, da cui ha avuto due figli di un anno e mezzo e sei mesi. I suoi genitori, con cui era riuscita a entrare in contatto anche grazie ad un appello indirizzato alle autorità curde, ora stanno provando a farla tornare a casa. Il padre Redouane si è detto felice alla notizia che la figlia è viva. «È un giorno di vera festa, siamo tutti contenti. L’abbiamo riconosciuta subito vedendo la foto del Giornale. Abbiamo sempre detto che era stata plagiata e che voleva tornare a casa». L’avvocato Andrea Niero, difensore d’ufficio della ragazza, è scettico, perché il padre non avrebbe mai perso i contatti con la figlia. «Io vedo una regia dietro al caso di questa ragazza. Io resto della mia idea: Meriem viene “usata” da qualcuno». I punti oscuri in questa vicenda sono molti per il leale. «Non si è indagato sulle sue amicizie – spiega alludendo a chi l’ha aiutata a raggiungere la Siria – o magari gli accertamenti ci sono stati ma non sono stati resi noti». Inoltre, non crede neppure all’idea di una Meriem hacker, perché sarebbe invece una studentessa con normali conoscenze della rete. Ed è poco convinto del suo pentimento: «Se fosse realmente pentita chiederebbe veramente scusa, il rischio è invece che tornata in Italia e scontata la pena continui a fare proselitismo».