Due notizie, da due diverse parti del mondo. La prima arriva da Damboa, nord-est della Nigeria: due attentatori suicidi hanno ucciso 31 persone. La seconda da Trenton, New Jersey (Usa): due uomini hanno cominciato a litigare — per motivi non chiariti — e hanno finito sparandosi addosso. Bilancio: un morto e decine di feriti, fra cui un ragazzino di 13 anni in condizioni gravissime. I primi commenti sulla notizia dalla Nigeria si appuntano sul fatto che, poche ore prima dell’attentato, il capo dell’esercito nigeriano aveva rassicurato la popolazione: state tranquilli, Boko Haram è innocuo, con la nostra offensiva dei mesi passati lo abbiamo spazzato via. Sottinteso: che illuso, che presuntuoso, forse addirittura che sprovveduto: forse è proprio per smentirlo, per far vedere che Boko Haram è vivo e vegeto, che l’attacco è stato realizzato. I commenti che arrivano dagli States, inutile dirlo, puntano subito il dito sull’uso delle armi: ecco che cosa succede a lasciare le armi in vendita libera…



A me, confesso, viene in mente un’altra considerazione. Provocatoria, se volete: dov’è la notizia? Che cosa c’è di nuovo, nel fatto che gli umani cerchino di affermare le loro ragioni con le armi? Non hanno fatto così dalla notte dei tempi? Non hanno sempre messo lo straniero di fronte all’alternativa fra la morte e la schiavitù? Non ci siamo entusiasmati mille volte davanti ai film western, che mostrano che le questioni si risolvono a colpi di revolver, per le strade o nei saloon (lo so, il New Jersey è sull’East coast, ma la sostanza è quella)? Sì, gli americani sono “incivili”, pensiamo noi europei, ma da noi il sistema con cui si risolvevano le questioni “d’onore” non è rimasto fino all’inizio del Novecento il duello? Il dialogo, il rispetto dell’avversario, la trattativa, il compromesso, non sono “naturali”. Ci piace considerarli tali, ma non lo sono. Sono il frutto di una civiltà secolare. Ci sono voluti secoli, perché i romani convincessero i popoli conquistati che affidarsi ai tribunali era meglio che combattersi. Ce ne sono voluti altri, perché la Chiesa convincesse i barbari che era meglio accordarsi che scannarsi. Ci sono volute due guerre civili, prima che gli inglesi scegliessero definitivamente la democrazia. L’elenco potrebbe continuare.



Ci vuole un’educazione paziente, capillare, continua, per insegnare che l’altro è un valore. Viviamo in un tempo di invettive, di urla, di delegittimazione dell’avversario. C’è da stupirsi che poi qualcuno prenda le armi e cerchi, quell’avversario, di eliminarlo? La vera notizia non è che qualcuno si ammazzi, ma che qualcuno provi a ragionare. E che qualcuno, pazientemente, continui a insegnare ai ragazzi che ragionare con l'”altro” è più umano che sparargli addosso.

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