Ammettiamolo onestamente: a leggere le tracce ogni anno più massicce della prova di italiano per la maturità, viene nostalgia per i vecchi e tradizionali titoli dei temi di una volta. Oggi le tracce, riuscite o meno che siano, sembrano soprattutto regolate da due paure: quella di non risultare moralmente corrette e ineccepibili e quella di assistere a fughe in ragionamenti liberi da parte dei ragazzi. L’insieme di citazioni hanno un che di carcerario e di obbligante, al di là della bontà degli spunti che suggeriscono. È la sensazione di uno che guarda da fuori questa prova di maturità e che può solo immaginare il silenzioso disagio di un ragazzo nel doversi misurare con quei ragionamenti così autorevoli e appropriati; binari mentali dai quali conviene discostarsi il meno possibile. Sarà pur una prova di maturità, ma nasconde un che di castrante.
Un altro segno distintivo delle tracce è in genere l’ovvietà. Si indica il tema della solitudine nell’arte e nella letteratura, con una vastità di riferimenti paralizzante che finisce con l’inibire le sollecitazioni proposte dal brano nettamente più imprevedibile e interessante, quello tratto da Uno nessuno e centomila di Pirandello. “La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi… La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, dove dunque l’estraneo siete voi”. È una di quelle situazioni un po’ labirintiche, tipiche del grande drammaturgo siciliano, ma che può dare spunto a riflessioni non banali. Può ad esempio smitizzare una certa idea beatificante, in virtù della quale l’esperienza della solitudine viene concepita come ingrediente irrinunciabile per ogni percorso creativo. La donna, unica frequentatrice della tavola calda nel quadro di Edward Hopper proposto, è più solitaria che sola. È più concentrata che assente; ha un cervello assai più attivo di quanto la vulgata non ci faccia credere: c’è più pensiero che ansia nel suo isolamento.
Il tema sulla creatività era una bella suggestione: “La creatività è la straordinaria dote — squisitamente umana — di immaginare; risultato di una formula complessa, frutto del talento e del caso”. Le citazioni a seguire finiscono con l’ingabbiare la suggestione; costringono a svolgere il tema sul filo di una dialettica superficiale. Con il risultato di generare una contraddizione in termini, visto che si trattava di ragionare di creatività… (in sincerità, tra le citazioni una me la sono segnata, di Georges Didi-Huberman: “non perdere neppure l’impazienza o l’impertinenza delle cose fortuite, il tempo breve delle scoperte, l’imprevisto degli incontri, cioè gli accidenti di percorso”).
Certamente un piccolo tesoro la verbosa antologia delle tracce 2018 ce lo ha regalato. È lo stralcio del discorso di Aldo Moro a Helsinki nel 1975. Il tema è quello del ruolo dell’Europa e dell’Italia nel mondo dei due blocchi contrapposti, mondo occidentale e mondo comunista. È stupefacente misurarsi oggi con la qualità del parlare politico di quel grande statista democristiano. L’afflato del dire, il ritmo del discorso comunicano da soli il contenuto alto della visione. Che è una visione in cui le parole delle strategie politiche sono chiamate a caricarsi della sostanza delle dinamiche reali. Certo, un ragazzo di oggi potrebbe chiedersi in quale lontana civiltà sia vissuto un personaggio così…