Noi viviamo come se Dio non esistesse, anche se ce l’abbiamo sulle labbra troppe volte, abitudinari o blasfemi. Perché se avessimo fede nella presenza di Dio, dovremmo chiederci insistentemente il perché delle persecuzioni tremende che vivono i suoi figli, i suoi eletti, nella nostra indifferenza. Ogni tanto si leva una voce che ricorda i fratelli uccisi per odio alla loro fede. E sappiamo che tutte le giustificazioni politico-sociali che si adducono per tentare risposte alla furia del male non sono del tutto vere. Uccisi perché cristiani. E Dio dovrebbe aiutarci a capire, e rispondere alle loro, se non alle nostre, preghiere. 



Oggi viene raccontata su aleteia.org la storia di una ragazzina di 13 anni, che a fine 2017, nella periferia del Cairo, stava uscendo da messa con la sua famiglia.  Era precisamente accanto a sua mamma, con la sorellina. Un diavolo in motocicletta finge di cadere, la donna solerte si avvicina temendolo ferito e invece l’uomo tira fuori una pistola e spara. La colpisce, mentre lei fa da scudo alle figlie e poi tira al bersaglio sui fedeli che terrorizzati escono dalla chiesa. Quella madre, intanto, vegliata dalle bambine, muore dissanguata nella vana attesa di un’ambulanza, dato il trambusto, la paura, le grida. Altre nove persone moriranno quella sera con lei, dopo aver ricevuto il corpo di Cristo. Uccise dai fondamentalisti, che saranno pure dei disperati armati da mani potenti, ma quelle mani sono strumento di morte di cristiani, solo perché cristiani.



Ma quella madre fa in tempo a trasmettere alla figlia maggiore il suo testamento: poche parole, la raccomandazione di  non aver paura, di stare accanto al padre e prendersi cura della sorella. Semplice, accorato appello. Ma è quel “non aver paura, io sono con te” a far pensare. Le parole di Gesù ai suoi amici, prima della passione. “Io sono con voi, fino alla fine del mondo”. E l’eco delle parole con cui si presentò un papa santo: “Non abbiate paura!”. In nome di questo lascito quella bambina, neanche un anno dopo,  può parlare del suo dolore profondo, ma anche della sua obbedienza. Non ha più paura, dei terroristi, del male. Sua madre è una martire, spiega. Cioè è santa. E la sente accanto, sa che veglia su di lei, dal cielo. Vuol diventare infermiera, o dottore, aiutare i sofferenti. Fidandosi di una cosa soltanto: le nostre vite sono nelle mani di Dio, dobbiamo aderire alla fede in Lui. 



Ci sembra impossibile, ma questa storia assurda di perdono e redenzione e testimonianza bruciante ha due sole risposte possibili: o quella tredicenne è impazzita, o ha ragione lei. Data la sua ferma e intelligente coscienza, dobbiamo optare per la seconda ipotesi. E prendere il testimone che da sua madre lei consegna a noi, con la tenace forza della sua giovinezza. Poi nella nostra debolezza, a capo chino, tante volte ancora, ci troveremo a domandarci:  perché? Perché Signore, metti alla prova così duramente i tuoi figli? E perché noi, invece di lamentarci di quel che non ci è concesso, invece di blaterare su importantissime ma non vitali questioni dottrinali, non preghiamo notte e giorno perché Dio ci ascolti, non ci uniamo per imporre la pace, e la libertà della fede?