«Sono stato fragile e debole e me ne scuso»: Monsignor Capella è stato condannato a 5 anni di reclusione dalla Gendarmeria del Vaticano, un atto “esemplare” che dà seguito al giro di vite voluto e iniziato da Benedetto XVI e continuato da Francesco. Nel dire in una nota che spera in un “incidente di percorso”, il prelato e diplomatico della Santa Sede rileva il timore forte per il processo canonico dell’Ex Sant’Uffizio. Capella infatti non solo è già in carcere in una cella della Gendarmeria Vaticana ma rischia di essere “spretato” nei prossimi mesi quando i giudizi della Santa Sede dovranno decidere in merito ai suoi peccati ecclesiastici e morali in merito alla pedopornografia accertata dal tribunale con una sentenza “prima nel suo genere”. Il Promotore di Giustizia Gian Piero Milano aveva chiesto cinque anni e nove mesi, con l’aggravante dell’«ingente quantità di materiale: aggravante riconosciuta, seppure bilanciata dalle attenuanti generiche» per l’atteggiamento collaborativo dell’imputato», come riporta il Corriere della Sera. (agg. di Niccolò Magnani)
“È STATO UN INCIDENTE DI PERCORSO”
Per quanto riguarda la condanna, Mons. Capella ha rilasciato una dichiarazione spontanea, ammettendo di fatto la propria colpevolezza: “Spero che questa situazione possa essere considerata un incidente di percorso. Gli errori fatti sono evidenti, come evidente il periodo di particolare fragilità. Sono dispiaciuto che la mia debolezza abbia addolorato la mia famiglia, la mia diocesi e la Santa Sede. Sono pentito e rammaricato. Spero che questa situazione possa essere considerata un incidente di percorso.” La condanna a 5 anni di reclusione è stata comunque pesante, anche in considerazione dei reati accertati: almeno 50 immagini pedopornografiche nei dispisitivi di proprietà del Monsignore, che aveva scaricato anche alcuni fumetti giapponesi a tema pedopornograico. (agg. di Fabio Belli)
LA DOPPIA VITA SUI SOCIAL
La condanna a cinque anni di reclusione, con tanto di multa di 5mila euro, di Monsignor Carlo Alberto Capella da parte del Tribunale Vaticano ha riacceso oggi i riflettori su uno dei casi più imbarazzanti per la Chiesa: il prelato, infatti, è accusato di detenzione e trasmissione di materiale pornografico e per l’imputato non solo la pena è stata più severa ma anche l’interpretazione della sentenza dato che per le leggi vaticane è più stringente sulla materia e non fa alcuna distinzione tra immagini reali e virtuali e per questo nella sentenza si parla di “ingente quantità” di materiale pedopornografico di cui il Monsignore era entrato in possesso frequentando alcuni canali social. Stando a quanto si apprende da Il Fatto Quotidiano, infatti, Capella aveva un profilo su Tumblr col nickname di Doppiobibo e grazie al quale avrebbe ricevuto e scambiato materiali foto e video in cui erano presenti adolescenti: attività e dialoghi in chat di cui oggi il diretto interessato si è detto pentito nella dichiarazione spontanea prima che i giudici entrassero in Camera di Consiglio, definendola “triviale” e rilevandone, parole sue, “la ripugnanza”. (agg. di R. G. Flore)
PENA AUMENTATA PER “CONTINUITA’ DEL REATO”
Il verdetto è stato letto dal presidente del Tribunale Vaticano, Giuseppe Della Torre, e ha condannato Monsignor Carlo Alberto Capella a cinque anni di reclusione per il reato di “divulgazione, trasmissione, offerta e detenzione di materiale pedopornografico”: sentenza pesante che chiude uno dei casi più spinosi in seno alla Chiesa e che arriva dopo l’ammissione del diretto interessato. Prima che i giudici si riunissero in Camera di Consiglio, infatti, Monsignor Capella ha fatto una dichiarazione spontanea, ammettendo le sue colpe ma auspicando pure che gli errori commessi siano, a suo dire, solamente “un incidente di percorso nella vita sacerdotale che amo ancora di più”. Per quando riguarda invece la pena comminatagli, la legislazione vaticana prevedeva quattro anni di carcere e una multa di 4mila euro: il verdetto invece è stato leggermente più pesante a causa della “continuità del reato” ma sono state tenute in debito conto comunque le attenuanti generiche dell’imputato grazie al “contegno processuale” da lui tenuto. (agg. di R. G. Flore)
CINQUE ANNI DI CARCERE
Sentenza lampo era prevista e così è stato. Monsignor Carlo Alberto Capella è stato condannato a 5 anni e 5mila euro di multa per pedopornografia. È durato appena due giorni il processo per l’ex consigliere della Nunziatura vaticana a Washington, accusato di detenzione e scambio di materiale pedopornografico con l’aggravante dell’ingente quantità. Il pm vaticano aveva chiesto una condanna a 5 anni e 9 mesi di reclusione e 10mila euro di multa. Il diplomatico 51enne ha subito ammesso le sue colpe, ma ha provato in qualche modo a giustificare il suo comportamento spiegando di essere entrato in una profonda crisi. Una giustificazione arrivata in extremis e in maniera rocambolesca, per provare ad attenuare una condanna per reati gravissimi. Richiamato in Vaticano il 21 agosto 2017 dopo le segnalazioni degli Stati Uniti e del Canada e arrestato dalla Gendarmeria il 7 aprile 2017, monsignor Capella in questi mesi è stato seguito da uno psichiatra e ha fatto uso di ansiolitici per dormire. «Il suo percorso non è stato sempre facile» ha spiegato ai magistrato il medico Tommaso Parisi, spiegando che in questo tempo «si è dimostrato estremamente collaborativo e desideroso di conoscere meglio se stesso, incontrarsi con le sue emozioni per armonizzare la sua personalità, da uomo e da ecclesiastico». (agg. di Silvana Palazzo)
PEDOPORNOGRAFIA, MONSIGNOR CAPELLA CONFESSA: “ERO IN CRISI”
Accusato di pedopornografia, monsignor Carlo Alberto Capella ha confessato: durante la prima udienza nel Tribunale Vaticano ha ammesso gli «atti compulsivi di consultazione impropria di internet». L’ex diplomatico ha spiegato di aver agito in quel modo perché stava attraversando un momento di «crisi» a causa del suo trasferimento a Washington. «Ho sbagliato a sottovalutare la crisi che stavo attraversando» ha aggiunto. E poi parlando del suo passato ha precisato che «questa morbosità non ha mai caratterizzato la mia vita sacerdotale e le relazioni con i ragazzi». Oltre all’interrogatorio dell’imputato, sono stati ascoltati due testimoni, mentre di un terzo, lo psicologo Luigi Berta, è stata acquisita la relazione. Oggi è prevista la seconda udienza in cui sono attesi gli interventi del Promotore di Giustizia, quello della difesa. Se vorrà, monsignor Capella potrà fare sue dichiarazioni spontanee al termine. Non si esclude una sentenza lampo. È emerso che Capella ha collaborato anche alle indagini: ha messo a disposizione i suoi dispositivi – penne Usb e hard disk – e tutte le sue password.
INGENTE MATERIALE SU MINORI
Sono tra le 40 e le 55 le immagini incriminate. Comprendono fotografie, video e “shotas”, cioè immagini pornografiche di fumetti giapponesi. In tutte ci sono minori. Queste immagini sono transitate nelle chat private del social Tumblr su cui aveva aperto un account. «Monsignor Capella cercava immagini di ragazzi tra i 14 e i 17 anni» ha dichiarato l’ingegnere Gianluca Gauzzi della Gendarmeria vaticana, colui che ha eseguito gli accertamenti informatici ed è stato ascoltato come testimone. Tra il materiale sotto accusa c’è anche «un video con un bambino molto piccolo in atti espliciti». Si tratta di immagini che non si trovano facendo semplici ricerche sui motori del web. L’altro testimone è stato Tommaso Parisi, medico psichiatra che lo ha in cura e parla di una persona «collaborativa». Quando ha parlato della sua «crisi» Capella ha fatto riferimento alla proposta di andare alla Nunziatura di Washington, una delle sedi diplomatiche più prestigiose. «All’inizio del settembre 2016 mi trovo negli Usa senza entusiasmo ma collaborativo». Nei primi mesi ha poco lavoro e comincia il serpeggiare del «conflitto interiore, del senso di vuoto, dell’inutilità».