Le parole che Papa Francesco ha pronunciato all’Angelus del giorno dedicato alla Natività di san Giovanni Battista offrono alcune coordinate fondamentali per tutti. La situazione politica dell’Occidente, imprigionato tra emergenze e nuovi egoismi, sembra chiedere al più presto una soluzione: sia chi dà voce all’esasperazione di molti, oppressi dal fenomeno migratorio e dai problemi legati alla burocrazia e al lavoro, sia chi invece vorrebbe cogliere in tutte queste crisi una possibilità, è alla ricerca di una via d’uscita. Allo stesso modo anche le vicende personali interpellano i singoli, spronandoli a trovare risposte per tutte quelle circostanze che rinchiudono la vita in un apparente labirinto: un lutto, una malattia, una separazione, una notizia inattesa. La realtà, a qualunque latitudine la si consideri, sembra porre un problema e questo problema chiede di essere risolto. Non va dimenticato il livello personale della faccenda: perfino quello che ciascuno è, col suo carico di difetti e di errori, di patologie e fragilità, aspetta qualcosa che possa tirarlo fuori dalle secche in cui si sente schiacciato. 



Il Papa racconta che anche Zaccaria ed Elisabetta stavano con queste stesse domande di fronte alla loro sterilità e che ormai avevano perso la speranza che quel particolare della vita così doloroso potesse in qualche modo essere superato. La perdita di speranza è spesso direttamente proporzionale al tentativo di comprendere, di analizzare, di capire: a volte di fronte ad un fenomeno si compie un lavoro così intellettualmente impegnativo che si tende ad identificare i fattori del problema con ciò che di quel problema si è riusciti a pensare. Nella politica si pensa che il problema sia composto dalla somma dei dati che provengono all’opinione pubblica sulle migrazioni o sulle pensioni, a casa si ritiene che il problema sia l’insieme delle considerazioni che si sono fatte su una certa questione o dei pareri medici ottenuti su un’altra. 



Ma nella guerra dei dati e delle riflessioni, delle opinioni e dei sospetti, quello che lentamente va perdendosi è la ragione, ossia l’apertura del cuore ad un fattore che non sia tra quelli che si sono riusciti a pensare. Chi solo lo ipotizza è tacciato di spiritualismo, di intimismo. Come se quel fattore, il Mistero, non fosse una cosa reale. Pure Zaccaria pensava in quel modo e Dio, sorpreso da quella posizione così ultimamente atea, lo fa tacere, gli impedisce di parlare. È la sorpresa il criterio di Dio, è la Sua fantasia la risposta al dramma di ogni tempo presente. Sta all’uomo, come è stato a Zaccaria ed Elisabetta, stabilire se si vuole avere gli occhi pieni di ciò che si è capito — o che si sente — oppure se non si vuole avere nello sguardo altro che la Presenza sorprendente di Lui all’opera, di Cristo che non lascia l’uomo solo tra i marosi della storia, ma che con la Sua barca ci soccorre e ci conduce in un porto nuovo, pieno di speranza. 



Il Papa richiama il popolo cristiano a cercare nella fede la risposta al dramma del vivere. Il vero politico è chi, in un problema, indica qualcosa che si muove e che riconosce come una novità che ha i tratti inconfondibili di Dio. Il vero amico è chi indica all’altro la mossa del Mistero, non chi analizza o chi dà consigli, ma chi costantemente sprona a guardare un Altro all’opera. Zaccaria riprese a parlare, dice il Papa, solo quando si arrese alla sorpresa di Dio. Così la vita smette di essere confiscata dalla confusione quando, con tanta umiltà e silenzio, si rimette di fronte al Mistero che si muove e si allontana da ragionamenti così perfetti da generare soltanto una disperata solitudine.