Non saremo noi a buttarla in politica. La morte della piccola Giulia, che giocava nel parco, e in quattro ore è stata portata via da una meningite fulminante, è una tragedia che non accetta la distrazione delle polemiche. Oh come sarebbe facile lasciarci consolare, se fossimo il padre o la madre, o i nonni, dall’insultare le strutture dello Stato, il governo, il sistema sanitario. Nel padre di Giulia ha vinto una logica diversa. La sofferenza incommensurabile non si è tradotta in ira, ma in lacrime per Giulia e in preoccupazione per i tanti bambini che senza neppure conoscere il rischio, sono esposti a virus mortali, lasciati liberi di circolare e di divorare altre vite a causa dell’ignoranza e della protervia che accompagna come un diavolo custode la superbia del potere. Ricordiamoci il nome della bestia: si chiama meningite C.
La vicenda di Giulia non è un fatto di oggi, ma il padre ha voluto farla conoscere, parlando a Rete 4, dopo che Matteo Salvini, da vicepresidente del Consiglio, aveva detto che “dieci vaccinazioni sono troppe; sono inutili e persino dannose”. Proponendone la non obbligatorietà e auspicando che sia tolto il divieto di frequenza ai bimbi i cui genitori li hanno sottratti a questa prevenzione. Un ministro non può cambiare le leggi con una dichiarazione, di certo però è come se desse un valore di significato civile a un’opposizione di (in)coscienza.
A questo punto il papà di Giulia si è ribellato a questa forma di disinformazione irresponsabile. Ha raccontato che la figlia avendo la febbre aveva dovuto rimandare l’appuntamento con il medico e aspettare un altro turno. Troppo tardi. Ma guai a non porre in essere tutte le barriere contro la diffusione del contagio.
Squassato dalle lacrime ha replicato al ministro, che dice spesso di parlare “da papà”: “Vorrei metterti al mio posto a raccontare di tuo figlio e poi vediamo se dici ancora che i vaccini non servono a niente”. Infine l’appello tra le lacrime al leader della Lega: “Non deve decidere il genitore, i vaccini devono essere obbligatori”. C’è un bene superiore rispetto al diritto a esprimere la propria opinione se sei ministro e c’è in ballo la salute dei bambini. Se lo ricordi Salvini. Le scuse sono attese: farle potrebbe essere un gesto umile e giusto. Dieci scuse sarebbero troppe. Ne basta una.