Rimesse in libertà dal tribunale del Riesame, dieci persone appartenenti alle famiglie di Cosa nostra sono tornate in carcere nella notte scorsa. Su richiesta della Dda di Palermo, il gip ha emesso dieci ordinanze di custodia cautelare in carcere che sono state eseguite dai carabinieri del comando provinciale di Agrigento. È stato eseguito anche un obbligo di dimora per un undicesimo indagato. Sono stati scarcerati per un difetto di motivazione, un vizio di forma, ora tornano in cella. Il nuovo blitz è stato eseguito da oltre 100 militari dell’Arma, supportati da un elicottero, unità cinofile e dello squadrone eliporto carabinieri “cacciatori di Sicilia”. «La nuova operazione è scaturita da attività investigative effettuate nel periodo febbraio-maggio 2018, ha inflitto un ulteriore duro colpo agli attuali assetti di Cosa nostra, consentendo di documentare ulteriormente estorsioni, tentate e consumate, ai danni di 7 aziende» hanno spiegato gli inquirenti, come riportato da Palermo Today. Sono state eseguite numerose perquisizioni alla ricerca di droga e armi. 



MAFIA, 10 BOSS SCARCERATI A FEBBRAIO TORNANO IN CARCERE

Tra febbraio e maggio scorsi i carabinieri del Reparto operativo di Agrigento hanno eseguito nuove indagini. Hanno acquisito le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta di Favara e quelle degli imprenditori che hanno subito estorsioni o tentativi di estorsione. «Sono stati così ulteriormente raccolti gravi e concordanti elementi indiziari che hanno delineato le responsabilità e i vari ruoli nei mandamenti nelle famiglie mafiose», scrivono dal comando provinciale dell’Arma di Agrigento, specificando che si tratta di persone che erano state rimesse in libertà dal tribunale del Riesame dopo la prima tranche dell’operazione “Montagna” contro le cosche della provincia Agrigentina. Nel corso di ulteriori indagini sono stati acquisiti elementi di prova in relazione al coinvolgimento di queste persone in estorsioni, tentate e consumate, ai danni complessivamente di sette società appaltatrici di opere pubbliche di ingente valore. L’accusa, dunque, è di associazione di tipo mafioso armata finalizzata alle estorsioni.



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