Sebbene ci siano numerosi documenti storici che descrivano l’uso della crocifissione da parte degli antichi romani e tutta la storia del cristianesimo si basi proprio sulla morte in questo modo di Gesù Cristo, fino a oggi esisteva una sola prova concreta dell’uso di questa orribile pena di morte. Si trattava di un ossario contenente i resti di un uomo tra i 20-24 anni scoperto in uno scavo a Gerusalemmme nel 1968 nel grande cimitero ebraico dei tempi del Secondo Tempio (II secolo avanti Cristo-70 dopo Cristo quando fu distrutto dalle legioni romane). All’interno di una tipica tomba scavata nella roccia tra diversi altri oggetti alcuni recipienti per le ossa. Sull’osso del tallone dell’uomo un chiodo di 18 centimetri attaccato a un paio di centimetri di legno d’ulivo, i resti della croce a cui era stato appeso. Adesso però ci sarebbe la seconda prova dell’esistenza concreta del metodo della crocifissione. Dei resti umani trovati nei terreni intorno alla cittadina di Gavello in provincia di Rovigo nel Veneto, nel 2007, sono stati analizzati recentemente con nuovi metodi. In sostanza una lesione nel piede di uno scheletro risalente a circa 2000 anni fa secondo alcuni ricercatori dell’università di Ferrara il cui studio è stato pubblicato dalla rivista Archaeological and Anthropological Sciences fa pensare si tratti di un uomo che venne crocifisso.



ROVIGO, CROCIFISSO COME GESÙ DUEMILA ANNI FA

“Nonostante le condizioni del ritrovamento, è stato possibile dimostrare la presenza di segni sullo scheletro che indicano una morte violenta simile alla crocifissione” dice la professoressa Emanuela Gualdi. Altri esami approfonditi hanno mostrato profonde lesioni all’altezza del calcagno, con un foro che permetterebbe il passaggio di un chiodo. Si tratterebbe di un uomo dell’età compresa fra i 30 e i 34 anni e i resti trovati attorno alle sue ossa come pezzi di mattoni, indicano l’epoca romana. Il corpo sarebbe stato sepolto sulla schiena con le braccia lungo il corpo stesso  e le gambe tese in avanti e, stranamente per quell’epoca, intorno non c’era alcun tipo di oggetto di sua appartenenza. Le somiglianze fra i resti trovati nel 1968 e questi fanno pensare che i metodi di esecuzione fossero gli stessi, cioè la crocifissione. Nel caso del ritrovamento in Italia, le braccia non mostrano segni di danni, infatti se i chiodi furono piantati attraverso i polsi avrebbero evitato le ossa, rovinando solo la carne che ovviamente non esiste più. Oppure si ipotizza che i polsi fossero stati semplicemente legati alla croce anziché inchiodati. La crocifissione secondo quanto sappiamo ai tempi dei romani, era riservata agli schiavi anche quando fossero stati liberati ma colpevoli di qualche cosa, rivoluzionari, stranieri, criminali e insomma cittadini non romani con l’eccezione dei soldati che disertavano. Dice un altro ricercatore che ha lavorato al ritrovamento: “Sebbene questo tipo di brutale esecuzione sia stata perfezionata e praticata per lungo tempo dai romani, la difficoltà nel preservare le ossa danneggiate e nell’interpretare i tipi di trauma presenti su di esse, ostacolano il riconoscimento delle vittime di crocifissione rendendo questo ritrovamento davvero prezioso”. Non furono però i romani a inventarla: le crocifissioni venivano eseguite già ai tempi degli assiri, dei fenici e dei persiani già nel primo millennio avanti Cristo.

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