Qualche puntata fa abbiamo illustrato come la Vecchia Signora riesca ogni volta a scassare l’ambiente che la circonda opponendosi a una democratica alternanza al vertice. Capita di nascere con la pelle più dura e con il pelo più folto sullo stomaco di altri. Quando è così non ci sono tante alternative di fronte a sé: o si vince o si muore. Dicono che dalle sconfitte si impari molto, vero. “Per me non è un problema costruire muri” – pensai a 19 anni. “Per me non è un problema distruggere muri” – pensai a 24. I muri non esistono più. Dicono anche che vincere aiuti a vincere. Quel che non si considera però è che tra la puzza del fallimento e il profumo della vittoria c’è un abisso. Dopo una sconfitta non è detto si impari qualcosa: guardate le milanesi dal 2011 in poi. Ogni anno la stessa storia, ci si mette attorno a un tavolo con facce tristi, si analizza cosa non è andato, ci si arrabbia per finta, si prova a capire i motivi, si sgrana gli occhi per ogni banale scoperta e dopo ci si ripromette di porre rimedio cosicché ognuno possa finalmente tornare a casa a farsi gli affari propri. E ogni anno è la stessa storia. Dopo una vittoria? Dipende. Se sei abituato o meno. Se non lo sei tratti la vittoria come un qualcosa di sporadico, un qualcosa di simile al finale delle fiabe, un qualcosa che andrebbe giustamente fatto pesare in faccia a quel mondo che in te non aveva creduto. Cosa diversa se ci hai fatto l’abitudine. Se inanelli vittorie come dischi di platino Lil Uzi Vert allora la storia è diversa. Se hai un talento o se sei semplicemente nel posto giusto al momento giusto fai qualcosa di diverso.
Quella che sta per iniziare è un’estate molto particolare per l’Italia. Fuori dai mondiali oggi, fuori dall’Europa domani. Forse. Chi sa qualcosa non parli, tanto non verrà ascoltato. Questo paese i profeti li sbeffeggia e li mette in croce, da millenni. Chi sa qualcosa faccia quel che deve fare senza perder tempo. In un mondo in cui i soldi potrebbero servire a molto come a poco non serve a nulla parlare. Scriviamo. Giusto per.
Rispetto ogni cosa sia stata detta nei confronti di Gianluigi Buffon. Da qualunque parte essa sia arrivata merita il mio rispetto. Anche io scelsi come ruolo il portiere quando ero ai primi calci. I tre motivi che mi convinsero, a questo punto, credo siano stati tre: se paro tutto la squadra non può perdere, non devo esser sempre concentrato, posso risparmiare energie e fiato. Scelsi il numero 77. O meglio, non avendo maglie con i numeri, andai con i miei amici a farmi stampare il numero che volevo e scelsi il 77 in onore proprio di quel giovane predestinato. Come potrebbe fare qualsiasi bambino oggi col 99 di Donnarumma. Buffon andava oltre ogni tifo.