La corte d’appello ha confermato la pena di 30 anni di carcere per il 32enne Manuel Foffo, accusato di aver ucciso il 4 marzo di due anni fa, il povero Luca Varani, durante un festino a base di alcol e sesso. Appena interrogato, tre giorni dopo l’assassinio, Foffo diceva: «Volevamo capire – le parole riportate dall’edizione online de Il Corriere della Sera – cosa si prova a uccidere». L’imputato, insieme al suo amico Prato (poi uccisosi pochi giorni prima dell’inizio del processo), decise di chiamare Luca Varani a casa sua, offrendogli dei soldi in cambio di sesso con entrambi. Il 22enne acconsente a tale richiesta, e si presenta quindi nel luogo indicato alle ore 9 di mattina. I due offrono all’invitato un cocktail (molto probabilmente diluito con droga), che stordisce il ragazzo in pochi attimi. A quel punto viene preso a coltellate e a martellate, e dopo una lunga agonia Luca Varani muore. L’obiettivo di Foffo era quello di vedere cosa si provava quando si muore. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)



LE PAROLE DEI LEGALI DELLA VITTIMA

L’omicidio di Luca Varani ha scosso l’opinione pubblica: i fatti del 4 marzo 2016 sono stati analizzati nelle trasmissioni specializzate, alla ricerca di dettagli e retroscena su uno degli omicidi più efferati della storia recente. Oggi Manuel Foffo è stato condannato a 30 anni di reclusione con la formula del rito abbreviato: è stato lui, insieme al suicida Marco Prato, a torturare per ore Varani fino a causarne la morte per dissanguamento. I giudici d’appello hanno disposto una perizia di ufficio per valutare se Foffo fosse capace di intendere e di volere al momento del massacro, con i risultati medici che hanno confermato la lucidità dell’accusato. Come riportato dai colleghi de Il Fatto Quotidiano, i legali della famiglia della vittima hanno sottolineato: “Foffo non si è mai pentito della sua azione, non ha chiesto perdono. Luca è stato umiliato senza un briciolo di compassione. In questa vicenda perdono tutti, vince solo il male”. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)



POLEMICA SU RITO ABBREVIATO

La corte d’Assise ha confermato la decisione del gup del febbraio 2017: Manuel Foffo è stato condannato a trenta anni di reclusione per l’uccisione di Luca Varani, torturato e seviziato nel corso di un festino a base di droga lo scorso 4 marzo 2016. L’accusa è di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, coinvolto anche Marco Prato che però si è suicidato in carcere il giorno prima dell’inizio del processo. Nelle ultime ore si è scatenata una polemica legata alla possibilità di ricorrere al rito abbreviato, con il padre di Luca Varani che già nel febbraio 2017 aveva commentato al termine del processo di essere “amareggiato, non è giustizia piena. Questi omicidi non possono essere giudicati col rito abbreviato”. Il rito abbreviato ha consentito a Manuel Foffo di ricevere la riduzione di un terzo della pena, con la condanna massima a 30 anni di reclusione. (Aggiornamento di Massimo Balsamo)



PAPA’ LUCIANO GRIDA IN AULA

Confermati 30 anni di condanna a Manuel Foffo per l’omicidio e il la tortura continuata di Luca Varani: «assieme a Marco Prato, lo hanno torturato e ucciso al culmine di un festino durato due giorni a base di alcol e cocaina». I giudici della Corte d’Appello del Tribunale di Roma hanno dunque confermato la sentenza afflitta in primo grado un anno fa, al termine del processo svoltosi anche in questo caso ovviamente con rito abbreviato (dunque l’ergastolo non era previsto dalla legge). Secondo quanto riportato da Askanews, il padre della vittima Giuseppe Varani, poco prima che il collegio uscisse dall’aula ha gridato «Ricordatevi che mio figlio non c’è più… Questo processo deve mettere a posto quel che è stato fatto nell’altro. Non dovete dimenticare le vittime e le loro famiglie». Papà Varani chiedeva l’ergastolo, accompagnato fuori con schiuma di rabbia in volto, anche se ovviamente in un rito abbreviato ciò non è possibile e la condanna massima di 30 anni è esattamente quella comminata a Manuel Foffo che pare non abbia lasciato alcun commento dopo la stangata della Corte d’Assise. Non è stata riconosciuta l’aggravante della premeditazione, esattamente come avvenuto in Primo Grado lo scorso febbraio 2017.

VERSO LA SENTENZA PER MANUEL FOFFO

Era il 21 febbraio 2017 quando Manuel Foffo venne condannato a 30 anni con rito abbreviato: era il primo grado del Processo per l’omicidio di Luca Varani, il giovane ragazzo romano ucciso il 4 marzo 2016 dopo due giorni di festino gay a base di cocaina e narcotici al culmine dei quali Marco Prato e proprio Foffo lo drogarono prima e accoltellarono in serie fino al sopraggiungere della morte. Prato il primo giorno del processo a suo carico si uccise in carcere a Rebibbia mentre Foffo, che chiese e ottenne il rito abbreviato, venne condannato a 30 anni (pena massima) in attesa della sentenza in Corte d’Appello che è invece attesa nella giornata di oggi. Dovrebbe avvenire nel pomeriggio, dopo le arringhe tenute stamattina dell’avvocato difensore Minichetti e i legali che invece rappresentano la fidanzata di Luca Varani, Marta Gaia Sebastiani. In aula è presente anche Manuel Foffo che siede vicino ai suoi legali, riporta Roma Fanpage: cento coltellate e martellate, così è stato ucciso il povero 23enne Luca Varani che ancora oggi non è ben chiaro il motivo con cui si sia presentato al festino, se per motivi di soldi o perché invece conosceva Prato per altri incontri precedenti.

L’ULTIMA PERIZIA CHOC

Quello che i giudici della Corte d’Appello di Roma dovranno appurare è sostanzialmente giudicare l’ultima perizia choc presentata durante il dibattimento in Aula nella seconda fase del processo di Secondo Grado. Stando all’opinione dei periti Antonio Oliva, Stefano Ferracuti e Marco Molinari, l’accusato Manuel Foffo, sarebbe «affetto da un disturbo di personalità di gravità moderata», ma nel momento in cui assieme a Prato uccise Varani «era comunque in grado di intende e di volere». L’omicidio avvenuto nel quartiere Collarino di Roma quel tragico 4 marzo 2016 ebbe uno sviluppo simile ad un film dell’orrore: «Foffo ha «una storia di riferito abuso di cocaina e alcol (ma non di uso cronico) e una possibile parasonnia, ma l’esame clinico non ha evidenziato aspetti riconducibili a un deterioramento o a una compromissione delle funzioni cognitive». Attenzione però, durante il processo non è stato l’unica perizia presentata e forse l’ultima messa in scena dallo psichiatra forense Piero Rocchini potrebbe essere quella decisiva per confermare i 30 anni a Foffo: «Non è credibile che Foffo abbia subìto la personalità di Marco Prato, il coimputato morto suicida. Non soffre di disturbo moderato della personalità, ma è presente un disturbo sadico sessuale profondo», ne è convinto il perito-teste chiave dell’accusa. Oggi si attende la sentenza con il procuratore generale che chiede la conferma dei 30 anni con l’aggravante della premeditazione (decaduta durante la sentenza di Primo Graso), mentre la difesa richiede una seminfermità mentale per il proprio assistito.