Secondo la nuova udienza oggi a Roma alla Prima Corte d’Assise sul caso di Stefano Cucchi – il giovane geometra ucciso in carcere il 22 ottobre 2009 – mancherebbero tracce scritte degli accertamenti fotosegnaletici e dattiloscopici durante l’arresto del 30enne malmenato e morto ore dopo nell’ambulatorio interno a Regina Coeli. A sostenerlo è uno dei carabinieri chiamati a testimoniare contro i 5 militari imputati per l’omicidio, l’occultamento di prove e la falsa testimonianza sul caso Cucchi. Dal registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento fu cancellato con il bianchetto il nome di Stefano Cucchi, viene ribadito oggi in aula spiegando che si tratta di «una pratica non regolare»: pare che sotto il nome di Misic Zoran, un altro detenuto, fosse stato eliminato in un secondo momento quello di Stefano Cucchi come a mascherare quanto avvenuto dentro quelle mura drammatiche del carcere romano. «Non è una pratica normale, può capitare che il fotosegnalamento non avvenga per problemi ai sistemi informatici, ma in genere si cancella il nome con una riga orizzontale, non con il bianchetto», ha spiegato uno dei carabinieri ascoltati.
IL RUOLO DI RAFFAELE D’ALESSANDRO
Ricordiamo che i cinque militari imputati risultano essere Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco (che rispondono all’accusa di omicidio preterintenzionale), poi ancora Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi, accusati di calunnia di alcuni agenti di polizia penitenziaria accusati durante la prima inchiesta sul caso Cucchi. In particolare, nell’udienza di oggi è emerso anche il ruolo di Raffaele D’Alessandro in maniera più specifica dopo quanto già riportato dalla ex moglie lo scorso 13 giugno (quando riportò le parole dell’uomo, “quante botte che gli abbiamo dato!”). Il militare, accusato di pestaggio ai danni di Stefano, su spostato di mansione e destinato ad un altro incarico «dopo una segnalazione della ex moglie, preoccupata perché potesse compiere con la pistola gesti estremi verso sé stesso o la famiglia».