Quando ho letto la storia di Giovanni Filocamo ho pensato a John Nash, a quel film stupendo che ne narra la storia. A beautiful mind. Morte e resurrezione, dove si rinasce diversi da come si era, magari più umani. Sembra impossibile, ma accade. Giovanni è un brillante scienziato, fisico del Consiglio nazionale delle ricerche, non so se mi spiego. Andava in televisione, scriveva libri di matematica. L’hanno operato due volte di tumore al cervello, asportandogli parte della materia grigia, e qui pensiamo da subito alla carrozzina, alla disabilità grave, pur salva la vita. No, Giovanni continua a ballare il tango, l’altra sua passione. E balla meglio di prima. Solo se lo senti parlare ogni tanto noti che qualcosa non va. Una certa lentezza, qualche termine buttato lì a caso, qualche amnesia. Niente di terribile, si riprende subito, ha pure discusso la sua tesi di dottorato, così. Quel che il tumore e la chirurga necessariamente ha portato via a Giovanni è la connessione tra parti cerebrali, come lui spiega, cioè il legame tra ciò che pensi, ciò che sai e ciò che esprimi.
Bisognava ricostruire quel filo, e in soli tre anni Giovani c’è riuscito, tra lo stupore dei medici, per cui dopo i primi sei mesi avrebbe recuperato il suo massimo, poi basta. Invece tenacia, pazienza, e tante lacrime, l’aiuto della famiglia, il sostegno di una logopedista col cuore, e Giovanni va avanti, si sforza al massimo, ottiene il massimo. Quando è troppo giù perché pensa di non riuscire a progredire, ancora balla, e il tango lo porta là dove il cuore danza, e la mente gli va dietro.
La sua storia è rara, ma non è un miracolo, non del tutto: perché sappiamo così poco di questo organo meraviglioso che costituisce il nostro rapporto con la realtà; perché la scienza deterministica fa sempre i conti sbagliati, grazie a Dio, e perché ci vuole fiducia, e coraggio, e bisogna non essere soli.
Poi, c’è qualcosa che va oltre il successo e la commozione per questo esito felice, in mezzo a tante, troppe storie terribili, che ci attanagliano con la paura e lo sconforto. C’è che Giovanni crede di essere migliore di prima, umanamente. Di essere più felice, e questo lo capiamo: scampi alla morte, ti tolgono un tumore grande come una mela, e sei vivo. Ma sei anche più sensibile, più attento, più positivo, più capace di comprendere gli altri, e questo è meno scontato. A volte il male indurisce.
A proposito di lacrime, che sono state spese copiosamente, oggi scorrono dolci, e lui le lascia scorrere, perché un uomo non lo giudichi da quanto è duro e la forza non è nella maschera che assumi o nei muscoli. Le lacrime sono il segno di uno stupore che continua, e si fa capace di lenire il dolore di tanti, con la risorsa ineguagliabile della speranza.