Li hanno definiti i figli degli ustascia, i fascisti che governarono lo stato fantoccio della Croazia durante l’occupazione nazista, responsabili del genocidio di circa 800mila tra serbi, zingari ed ebrei negli anni della Seconda guerra mondiale. Sono i giocatori della cattolica Croazia che si sono guadagnati la finale dei campionati del mondo di calcio 2018. Giudizi sbiechi, ideologia da quattro soldi. La Croazia di oggi evidentemente non è più quella di allora, anzi ha dovuto soffrire per guadagnarsi l’indipendenza dalla Serbia quando la Jugoslavia cessò di esistere, subendo a sua volta massacri sanguinari. Oggi la Croazia è l’unico paese cattolico di quello che fu il regime di Tito, e non piace all’Europa progressista, ma la realtà dei fatti l’ha raccontata benissimo Luka Modric, lo straordinario campione che ha contribuito a portare la sua squadra alla finalissima: “Da piccolo durante il periodo della guerra, fuori l’albergo che ci ospitava come rifugiati, calciavo continuamente il pallone contro il muro. Sognavo di giocare in grandi palcoscenici, e di scappare da tutto quello che mi circondava. Volevo diventare un calciatore. Gli altri mi vedevano, e mi consideravano uno non sano di mente. Pensare al calcio, in un momento del genere… ma io volevo solo giocare, e avere quel pallone tra i piedi non mi faceva pensare a niente”.
LA FEDE DEL MISTER
Zlatko Dalic è invece l’allenatore, poco conosciuto fino a ieri, creatore di un gruppo che prima che calciatori sono uomini, che crede in valori che nel calcio di oggi non esistono più. Cattolico praticante, durante la dittatura di Tito quando mostrarsi cattolici era pericoloso, fin da bambino era ministrante nella chiesa francescana della sua città, Livno, racconta oggi il sito Aleteia. «Ciascuno di noi – ha detto Dalic in un’intervista a Glas Koncila, settimanale ufficioso dell’Arcidiocesi di Zagabria – in un modo o nell’altro porta la sua croce». Aggiungendo che «solo con la fede l’uomo può tornare in modo più qualitativo sulla strada giusta. E’ necessario portare la croce nel modo più dignitoso possibile, portarla con fortezza e forza. Nelle situazioni che sembrano senza uscita, si trova una soluzione, tuttavia è necessario credere». In tasca, anche durante le partite, ha sempre il rosario. Dà indicazioni ai giocatori con la mano sinistra mentre la destra è quasi sempre nella tasca dei pantaloni: «Il rosario è sempre con me, e quando mi sento un po’ agitato, metto la mano in tasca, stringo il rosario, e tutto diventa più semplice». Prima di partire per la Russia è andato a Medjugorje ma quel rosario in tasca non è una sorta di amuleto: «Dio è presente quotidianamente nella mia famiglia e nella mia vita… e per tutto ciò che ha fatto nella mia vita posso ringraziare la fede e il buon Dio».