Caro direttore, settimana scorsa ho scritto che è una bella cosa, la morte. Era una provocazione, l’ho dichiarato. La morte non è una cosa bella. Però una cosa grande, sì. Una cosa drammatica, solenne: il punto in cui la vita acquista la sua forma definitiva. Qualunque vita.

Per questo va guardata con rispetto, la morte. Tutte le culture l’hanno sempre trattata con rispetto. Hanno sempre seppellito i cadaveri. Anche quelli dei nemici. Se nei tempi antichi non si facevano le autopsie, non era per paura o per superstizione, ma per il rispetto che la morte meritava.



Oggi non la rispettiamo più tanto, la morte. Una donna e un bambino sono morti al largo delle coste libiche, abbandonati — sembra — dalla Guardia costiera libica. Che siano morte, è un dramma. Sarebbe ancora più un dramma se fosse vero che, per qualche motivo, non sono state soccorse, sono state abbandonate alla loro sorte. Sarebbe interessante, allora, cercare di scoprire come sono andate davvero le cose. Capire se è stato fatto il possibile per salvarle, o se sono state davvero lasciate a morire. Se c’è stata una trascuratezza, o un dolo, o una scelta malvagia, sarebbe interessante identificare i responsabili e punirli come meritano. Sarebbe interessante, se si scoprisse che ci sono delle inadempienze non solo di singoli, poter intervenire a ogni livello, anche politico, perché ognuno sia trattato secondo la sua dignità.



Ma non è questo, che succede. Quel che succede è che tutti gridano, e puntano il dito: i bianchi contro i neri, i rossi contro i gialli. Tutti hanno ragione, gli altri hanno torto. Noi siamo i buoni, gli altri i cattivi. Non importa capire come sono andate davvero le cose. Non importa capire se c’è o no qualche sistema che aiuti di più (anche se sempre risuona il monito di Eliot a proposito degli uomini che “cercano sempre d’evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe bisogno di essere buono”). Non importa a nessuno, in fondo, di Miryam (mi piace chiamarla così) e del suo bimbo. La usano, per dire che loro sono i buoni, gli altri i cattivi.



Io non sono buono. E faccio mia l’invocazione di Ungaretti: “Cessate di uccidere i morti/ non gridate più”. Abbiamo — congiuntivo esortativo, facciamo in modo di avere — un po’ di pietà per i morti. Per noi stessi, che morti prima o poi saremo.