Come nel caso di Paolo Borsellino, sono tanti i punti oscuri relativi alla morte di Carlo Alberto dalla Chiesa, il generale prefetto ucciso a Palermo il 3 settembre del 1982 a colpi di kalashnikov insieme alla seconda moglie e all’agente di scorta. Ne ha parlato la figlia Rita, nota conduttrice televisiva, a La Vita in Diretta Estate in occasione della parentesi dedicata all’anniversario della strage di via d’Amelio. «Sono stata la prima a dire che non c’era solo la mafia, all’epoca era solo la manovalanza» ha dichiarato ai microfoni di Raiuno. Per Rita dalla Chiesa c’è ancora molto che non si sa dell’omicidio di suo padre, che nella sua carriera ha lottato contro il banditismo, le Brigate Rosse e Cosa nostra: «Dietro c’era molto di più». E visto che molte voci si sono levate per chiedere verità sulla strage di via d’Amelio, la figlia del generale si aspetta lo stesso per suo padre. «Mi piacerebbe che si tornasse a scavare su questo». Il suo appello a La Vita in Diretta si è fatto poi commovente: «Vorrei morire sapendo chi ha ucciso mio padre. E invece non lo saprò mai».



RITA DALLA CHIESA: “INDAGATE SULL’OMICIDIO DI MIO PADRE”

Rita dalla Chiesa a La Vita in Diretta Estate ha parlato anche del mistero relativo alla borsa di suo padre. L’hanno ritrovata dopo trentuno anni cercando nei sotterranei del Palazzo di giustizia di Palermo. Dentro però non hanno trovato nulla. «Era ormai vuota, buttata là all’interno del Palazzo di giustizia…» racconta con comprensibile sconforto la figlia del generale. Non c’era neanche un foglio bianco, neppure una penna. La borsa fu trovata vuota come la scatola recuperata qualche giorno dopo nella cassaforte della stanza da letto in prefettura. Una scoperta peraltro casuale quella della borsa, perché i magistrati scesero nel bunker per controllare i reperti catalogati subito dopo il massacro di via Isidoro Carini. La ricerca, come riportato all’epoca del ritrovamento da Repubblica, partì dopo che dodici fogli arrivarono al pm Nino Di Matteo: si indicavano indizi del patto tra mafia e Stato e si avvertivano i magistrati dell’indagine sulla trattativa che erano spiato. L’anonimo chiamò il suo scritto in codice “Protocollo Fantasma” e invitò i pm a investigare su 22 punti, tra cui la borsa del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Il 4 aprile dell’anno scorso Il Fatto Quotidiano riportò la rivelazione del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino secondo cui Francesco Cosentino, vicino all’onorevole Giulio Andreotti, sarebbe il mandante dell’omicidio del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa. Ma per i tre omicidi furono condannati all’ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra, ossia i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. 

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