La Anti-Defamation League, organizzazione non governativa internazionale ebraica con sede negli Stati Uniti, ha chiesto a Facebook di impedire che si diffondano idee sulla negazione dell’Olocausto ma Zuckerberg ha dichiarato che tale proibizione non può essere applicata.

“La negazione dell’Olocausto è profondamente offensiva”, ha insistito, “ma non credo che debba essere censurata”. Zuckerberg in seguito ha precisato: “Non intendo assolutamente difendere l’intento di coloro che negano l’Olocausto ma il nostro obiettivo sulle fake news non è quello di impedire che qualcuno possa dire qualcosa di non vero ma impedire che le fake news e la disinformazione si diffondano sul network”.



In pratica Zuckerberg, che ha parlato per “rimettere ordine”, ha detto che non vuole difendere i negazionisti ma che non può impedire loro di parlare. L’affermazione ha deflagrato come un’atomica visto che, oltretutto, Zuckerberg è sì americano ma ancor più è ebreo: tanto che il Jerusalem Post nel 2011 lo ha posizionato al primo posto nella classifica degli ebrei più influenti al mondo. 



Ora, farsi una ragione di tale decisione non è per nulla semplice. Cosa farebbe se qualcuno pubblicasse un post dicendo che l’11 settembre non è mai esistito? Sarebbe o no una fake news?

Visto che Facebook è nato per mantenere vicine le persone lontane, significa che il suo obiettivo è garantire la possibilità di dialogo e di scambio su tutti i fronti. Come la vicenda di Cambridge Analytica ha dimostrato, mano a mano che il social va avanti negli anni spuntano nuovi problemi e sorgono nuove domande. La risposta che ha dato Zuckerberg, se letta attentamente, può forse avere una chiave di lettura ragionevole. Quando un utente di Facebook vuole segnalare un post può farlo e a quel punto deve rispondere alle domande in base alle quali il social si fa carico del problema. È un’esperienza di molti: vedi una foto violenta, un incitamento all’odio, un insulto, un nudo, una notizia falsa, e la segnali. A quel punto, dopo un po’ di tempo, o il post scompare o rimane perché non viola gli standard: in ogni caso passa un po’ di tempo. Possono essere ore o magari giorni. Io, voglio essere benevolo, credo che Zuckerberg con la sua dichiarazione voglia proprio dire questo: mobilitiamoci, mobilitatevi. Possiamo andare contro qualcosa che non va, solo se lo faremo assieme. È quasi impossibile bloccare assolutamente una notizia falsa, ma è molto più facile ottenere questo risultato se la segnalazione è fatta da molti. Perché, è vero, i tecnicismi senza le persone hanno limiti evidenti. A me, per esempio, sta bene che Facebook non accetti la pornografia, ci mancherebbe. Ma poi mi accade di avere amicizie tra gente che incentiva l’allattamento al seno, e mi raccontano di quanto siano in difficoltà con Facebook perché una donna nera che allatta un bimbo bianco o una donna bianca con un seno colmo di latte e un bimbo che sorride, per il social di Palo Alto è fuori standard e quindi viene bannata o addirittura censurata con un cartello enorme che copre i capezzoli dicendo “contenuto sessuale”. Ma poi, mentre gli studi legali di Facebook sono implacabili con la boccuccia di un bimbo che si nutre alla madre, hanno manica larghissima con le innumerevoli forme procaci ed inviti allusivi che hanno l’ipocrisia di mettere il centimetro di tessuto nel limite esatto del corpo femminile che gli studios dei vari Grisham di turno hanno individuato come assolutamente non valicabile.



Nel caso specifico, quindi, anche se mi sforzo di capirlo, spero proprio che Zuckerberg cambi idea e faccia un’eccezione alla regola degli standard: perché negare l’odio è ancora odio, e oggi la gente si informa più su Facebook che sui libri e tutti dobbiamo andare verso la verità. A volte, per trovare la bellezza della verità bisogna uscire dall’etica standard. Cristo ci ha donato se stesso, non un’etica, e tantomeno standard. Cos’ha il capezzolo di una mamma che allatta di più scorretto della negazione di Auschwitz? Dove abbiamo lasciato lo sguardo non standard? Dove è la nostra anima non standard?