Contrada Selva, Frasso Telesino, provincia di Benevento. Tutto comincia dodici anni fa. Michela ha quasi quattordici anni, è sempre vissuta nel mondo rurale di questa provincia del profondo Sud, e in questo contesto, fatto di agricoltura e allevamento, si invaghisce di Giuseppe, un pastore di trentasei anni. Le attenzioni vengono ricambiate e tra i due inizia una relazione asimmetrica che in poco tempo muta nome, diventa manipolazione, abuso, violenza. La mattina dell’Epifania del 2008 Michela non ce la fa più: va nei campi e si suicida. Iniziano le indagini e un anno dopo Giuseppe è arrestato e condannato. Dapprima a nove anni, poi a undici. La detenzione non conosce sosta. Fino a qualche giorno fa. Giuseppe ottiene un breve permesso dal carcere, torna a casa e lì, misteriosamente, viene ucciso.
Difficile che qualcuno pianga quest’uomo: un vigliacco, uno stupratore, un assassino. Nessuna pena poteva risarcire la vita di Michela distrutta, il dolore inflitto alla famiglia, agli amici, al paese. Eppure il nostro sistema giudiziario non ha previsto per lui la morte, ma la detenzione. Perché? Perché non è giusto che gli uomini siano ripagati della stessa moneta con cui ammazzano, rovinano e calpestano l’esistenza? Perché non si poteva armare la famiglia di Michela, concedere loro la soddisfazione di veder morire il mostro, di farlo fuori con le loro mani?
La risposta è apparentemente semplice: perché niente di tutto ciò avrebbe riportato indietro Michela. Ma perché lui doveva vivere, quando lei era morta? Perché doveva “campare” sulle spalle della società, invece che marcire sotto terra?
La questione a questo punto si complica e diventa ardua, tuttavia inevitabile: perché nessuna umanità è un errore di sistema, un incidente di percorso. Perché non c’è storia, azione, responsabilità che non possa cambiare, trasformarsi, riaprirsi.
Ma perché allora dare proprio a lui questa possibilità, dal momento che lui stesso ha tolto a Michela ogni possibilità? Arriviamo così al punto più profondo della domanda, al punto più stringente della vicenda: che cos’è la giustizia? Dare seguito alla legge del taglione o fare in modo che l’uomo possa sentire dentro di sé tutto il peso del proprio male? È più giusto uccidere o sfidare il tempo, nella certezza che un giorno anche il mostro più turpe potrà percepire su di sé tutto il dolore arrecato? Ma a che cosa serve aspettare? Perché indugiare?
Non ci sono risposte sufficienti a placare queste domande. La verità è che il male che ha compiuto Giuseppe, l’abisso di perversione in cui ha precipitato il genere umano, non è affare solo di Giuseppe. È affare di tutti. Abita in me, abita in te, abita in ciascuno di noi: nessuno ne è esente, nessuno ne è escluso. Non c’è uomo che possa sentirsi immune da una qualche declinazione di quella raccapricciante perversione che affonda le sue radici nella bramosia di potere, di piacere e di possesso che segna l’animo umano.
Se avessimo ucciso Giuseppe avremmo avuto il dovere di uccidere tutti noi. È questa l’impietosa verità a cui ognuno è chiamato a stare di fronte: non esiste alcuna superiorità morale tra gli individui; l’uomo merita la morte, eppure ha la vita. È dentro un simile paradosso che le nostre analisi si fermano, i nostri giudizi impallidiscono e le nostre ragioni tacciono. Non c’era un motivo per lasciare in vita Giuseppe se non il fatto che ognuno di noi è stato lasciato in vita. Nonostante il proprio male, nonostante la propria colpa, nonostante l’onda più o meno lunga di dolore che ha arrecato alla terra. Ed è dinnanzi a questo apparente mistero di iniquità che s’affaccia allora un’inaudita possibilità: e se questa esistenza avesse un senso? E se questo dolore avesse un perché?
Chi ha ucciso Giuseppe ha fatto giustizia, ma ha impedito a tutti quanti di avere una risposta, di comprendere, di capire, di andare fino in fondo alla domanda. Di appurare se effettivamente potesse essere squarciato dalla luce di una Novità la vastità del buio che ha circondato Contrada Selva, Frasso Telesino, provincia di Benevento. La vastità del buio che circonda il cuore e la casa di ciascuno di noi.