Oksana Shachko, una delle fondatrici delle Femen, il movimento di protesta femminista noto per fare del corpo un manifesto politico, si è uccisa. Sì, una di quelle che a seno nudo andava a protestare contro l’ingiustizia davanti ai leader mondiali, un’artista, che pure riteneva la rivoluzione l’unica vera arte.
Ucraina, giovane attivista, aveva appena 21 anni quando nel 2008 con due compagne di lotta attira l’attenzione non solo nel suo paese per l’insolita forma di ribellione e denuncia: diritti civili, diritti delle donne, prima nella sua terra e poi nel mondo, contagiando in un movimento solidale globale altre donne in Europa. Ovviamente era perseguita dalla legge e perseguitata, trovando rifugio in Francia. Ed è nella sua casa di Parigi che l’altro ieri è stato trovato il suo corpo, quello che ha ostentato di fronte a Putin o Trump, a Berlusconi e chiunque sembri dettare le sorti del mondo.
Un topless considerato provocatorio quando di topless se ne vedono tanti per mettere solo le donne in vetrina. Figurarsi se era scandaloso protestare con le tette al vento. Figurarsi anche se uomini abituati ai più alti poteri e usi a considerare le donne come corpi e basta si sono mai lasciati interrogare dalle loro esternazioni fisiche e verbali. Boutades, goliardia estrema, ma senza alcuna ironia, senza il sarcasmo dello sberleffo. Quel che colpiva nelle Femen era la rabbia, è la rabbia: capace di trasformate i volti più gentili in maschere di Erinni, capace di far sragionare e perdere le ragioni, capace di cancellare le distinzioni tra persone e ruoli, di piegarsi all’uniformità, che cancella il dubbio, le sfumature, le differenze.
Un conto è sfidare il gelo della Bielorussia per fare della propria carne una barriera nella guerra civile; un conto far sorridere il cittadino di Arcore. Vale proprio la pena spendersi tanto? E questa rabbia, ha trovato uno sfogo pieno, per costruire, non solo épater les bourgeois e distruggere? Pare di no. La rabbia Oksana l’ha catalizzata contro di sé, tentando più volte il suicidio. La rabbia è decaduta in delusione, frustrazione, tanto da farle abbandonare movimento e sfilate, per ritrarsi nel suo mondo d’arte, dove il grido era più intimo, meditato, dolente. Se si confermerà un suicidio che pure le sue compagne non dubitano, sarà l’amara fine e il fallimento vero di un movimento che invece la onora con ritornelli quali “E’ nella storia del femminismo”. “Lei è in ognuna di noi”.
Sai che importanza può avere per una ragazza che sognava l’impossibile, come gridava 50 anni fa un fortunato slogan sessantottino. “Vogliamo l’impossibile”. L’impossibile è l’assoluto. Nessuna risposta soltanto politica, perfino se sacrosanta, nessuna battaglia, perfino se originale, radicale e totalizzante può colmare questo anelito, questo destino. “Siete tutti i falsi”, pare abbia lasciato scritto Oksana su un biglietto d’addio. Dove alla rabbia si sostituisce la pena, per la solitudine, per la menzogna dell’ideologia che ti assorbe l’anima, e cancella chi sei, i tuoi desideri. Che sono sempre, per tutti, ma ancor più nella giovinezza, desideri di compimento e di felicità. “Siete tutti falsi” non va forse inteso con l’ultimo attacco a un mondo cattivo e incapace di comprenderti, ma un atto d’accusa verso lo stesso movimento che aveva fondato. La falsità è insostenibile, in un uomo o una donna seri, appassionati, coraggiosi, disposti a dare tutto per di sé, per qualcosa di grande. Ma che sia grande davvero.