Sergio Marchionne era un uomo contemporaneo che ha vissuto nella sua vita personale e lavorativa le contraddizioni del nostro tempo; come amava ripetere spesso “chi non è disposto a mettere in discussione gli schemi vecchi non sarà mai pronto per affrontare i nuovi orizzonti”. La sua vita, sin dall’infanzia, è stata un continuo viaggiare da un capo all’altro del mondo, ma al tempo stesso era profondamente radicato e legato alle sue origini, alla terra in cui era nato, a quel senso del dovere semplice che imparava dal papà maresciallo dei Carabinieri e dalla mamma fuggita dall’Istria.



Mi ha colpito in lui sin dal primo incontro del 2009 la sua profonda curiosità. Venne casualmente a cena al ristorante della Piazza dei Mestieri e alla fine gli chiesi se voleva visitare questo centro di formazione professionale la cui sfida principale era quella di insegnare un mestiere ai giovani facendogli fare esperienza reale del lavoro già durante gli anni di studio. La visita iniziata all’una di notte si dipanava per laboratori e aule vuoti, eppure immaginò perfettamente cosa accadeva li ogni mattina. Lo invitai al Meeting di Rimini dove venne volentieri l’anno successivo e mentre girava per gli stand un organizzatore inizio a parlargli della sussidiarietà, lui col suo sorriso sornione esclamò: “Sì, ho capito cos’è la sussidiarietà, l’ho vista alla Piazza dei Mestieri”. Poi incontrò i giovani del Meeting da cui rimase affascinato, scorgendo nel loro sguardo un grande desiderio di bene e di costruzione e volle tornare più volte negli anni successivi a incrociare quegli sguardi. Mi diceva: “Mi sento bene qui come mi sento bene alla Piazza, perché c’è un energia positiva che da forza e speranza a tutti”.



Era così Sergio, sentiva spesso la solitudine come ha testimoniato nel suo libro del 2012 Chi comanda è solo, ma al tempo stesso era sempre pronto ad aprirsi agli incontri inaspettati e casuali. Era un uomo diretto e talvolta rude, senza fronzoli, ma sapeva affezionarsi con semplicità a chi incontrava, che si trattasse di un grande personaggio o del suo verduriere. Si commuoveva per le cose semplici, come quando durante una cena alla Piazza raccontò a me e Cristiana l’emozione del suo incontro col Papa e l’orgoglio della sua mamma o come quando accennava con grande discrezione al bene che voleva alla sua Manuela e alla gratitudine per averla incontrata. Un uomo semplice, ma di un’intelligenza straordinaria, che coglieva le sfide del nostro tempo, che si interrogava sul futuro del lavoro, che vedeva con chiarezza la povertà di tanti. Anche per questo duellò aspramente col sindacato e seppe trovare, grazie anche ad alcuni interlocutori attenti come Marco Bentivogli, una strada comune per salvare l’azienda e tanti posti di lavoro; insieme hanno dimostrato di saper cogliere le sfide, non lamentandosi, non attardandosi su schemi del passato, ma rischiando e accettando di dialogare.



È stato un onore per me conoscere Sergio, non ero come alcuni hanno impropriamente detto il suo unico amico, forse non posso dire neanche di essere stato un amico, ma certamente c’è stato un affetto e una stima, un affetto che sento oggi più profondo che mai; dal giorno della notizia del suo aggravarsi prego per Lui, per Manuela e per i suoi cari.

Come disse al Meeting di Rimini del 2014: “Tutte le cose tendono verso l’eterno o ciò che possiamo immaginare di esso”. Ora è là, davanti al Padre, non avrà bisogno delle sue Muratti, la sua inquietudine, i suoi successi e i suoi errori sono finalmente abbracciati.

Mi resta la memoria e anche la mancanza di quel sorriso che improvviso sbucava sul suo volto e che annullava ogni distanza. Mi resta la sua determinazione e quel desiderio di costruire senza arrendersi, con la coscienza che questo è il nostro compito, nell’attesa del giorno del nostro compimento.

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