“Il suo pentimento è autentico” si legge nella documentazione presentata dai legali di Marino Occhipinti, ex poliziotto condannato all’ergastolo per l’omicidio di una guardia giurata, Carlo Beccari, avvenuto durante l’assalto a un portavalori alla Coop di Casalecchio del Reno vicino a Bologna il 19 febbraio 1988. Parole difficili da accettare soprattutto per i parenti della vittima, che infatti hanno protestato per il provvedimento di scarcerazione preso dal giudice Linda Arata e dal presidente del tribunale di sorveglianza Giovanna Maria Pavarin. Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime ha infatti commentato: “Rimango allibita, non mi aspettavo una cosa di questo genere, non è giusto, ma che giustizia è?”. Occhipinti, oggi 53 anni, era in regime di semilibertà dal 2012, adesso torna uomo del tutto libero. Per il tribunale, l’uomo “non è socialmente pericoloso” e il suo pentimento “autentico”. Lo scorso anno ci furono polemiche quando gli fu concesso di trascorrere una settimana di vacanza in Val d’Aosta insieme ai responsabili e dipendenti della Cooperativa Giotto che si occupa di lavoro nelle carceri, in special modo in quelle di Padova dove Occhipinti era recluso.
SVOLTA NEL CASO “UNO BIANCA”
Proprio l’incontro con questa realtà di lavoro avrebbe fatto scattare il pentimento dell’uomo, che lavora per la cooperativa da 15 anni, specializzata nella produzione da parte di carcerati di panettoni. Ma naturalmente il pentimento è qualcosa di assolutamente personale, che solo il protagonista può conoscere: per i familiari a meno che non scatti il perdono, resterà sempre un assassino condannato all’ergastolo a cui ora gli è stata risparmiata la pena. Ma il sistema carcerario italiano è fatto proprio con la concezione della possibilità di redimere i colpevoli anche dei fatti più gravi come l’omicidio. Marino Occhipinti faceva parte della banda della cosiddetta Uno Bianca che a fine anni 80 e inizio 90 terrorizzava con rapine e con vittime Emilia Romagna e Marche. Tra il 1987 e il 1994 la banda avrebbe ucciso ben 24 persone, guidata dai fratelli Roberto e Fabio Savi la cui caratteristica era di usare una Uno Bianca. La svolta nella vicenda ci fu quando gli inquirenti capirono che nella banda operavano anche agenti delle forze dell’ordine: usavano infatti armi che i civili non potevano avere e strategie da agenti di polizia. E infatti così fu: Fabio, Roberto e Alberto Savi vennero condannati a tre ergastoli ciascuno mentre un ergastolo toccò a Marino Occhipinti. Tutti gli altri membri del gruppo furono condannati a pene inferiori.