Caro direttore, le ultime settimane, tra il “caso Aquarius” e le sue conseguenze fino agli episodi di presunto razzismo,  hanno fatto sì che ci trovassimo tutti bombardati dalle “sentenze” che ogni giornalista, opinionista o utente di Facebook pretende di dare, battezzando l’intervento di Salvini come atto di coraggioso realismo o piuttosto tacciandolo di disumanità vergognosa. Negli stessi giorni, ad alcuni di noi è capitato di sentire il racconto di Uwa e Frank, due ragazzi nigeriani, arrivati in Italia nel 2016. Ci hanno raccontato della loro fuga dall’Africa, del dramma di aver perso le loro famiglie e di essersi lasciati tutto alle spalle. Poi l’arrivo in Italia, a Termini Imerese, dove sono stati accolti e voluti bene dalle famiglie che li hanno ospitati, dai loro insegnanti e dai loro compagni di classe.



Frank: La cosa più bella è successa quando ci hanno invitato ad andare ai Cavalieri del Graal (gruppi di studenti delle scuole medie inferiori). Dopo il primo incontro in cui abbiamo giocato, parlato e cantato insieme, siamo rimasti sempre con loro. Sono pieni di attenzione ed è bello il loro modo di stare con noi. Siamo come fratelli e sorelle. Per questo io ora piango, perché io, che non ho madre, sorella, fratello e padre, non sono più solo. Con loro posso vedere il mio futuro più luminoso. Non posso smettere di dire loro grazie e ancora ripetere grazie: grazie per le attenzioni, le gentilezze e l’amore. I cavalieri sono amici che mostrano l’amore. Adesso non ho più paura perché questo amore c’è e mai finisce.[…] Dio ci ha salvati due volte. La prima volta durante il viaggio e poi quando siamo arrivati qui, perché non ci lascia mai soli, ma ci viene sempre a cercare mandandoci tante persone nuove che ci vogliono bene e ci mostrano il Suo amore.



Uwa: Grazie a loro ho potuto raccontare questa mia storia a Papa Francesco. Mentre io gli consegnavo la mia lettera lui mi guardava ed era molto commosso. Io ho pensato: il Papa si emoziona perché incontra me, un semplice ragazzo nigeriano?! Ancora una volta mi sono sentito amato, anzi un essere unico e speciale ai suoi occhi. Ho capito che noi cerchiamo sempre questo amore, soprattutto negli amici e in tutte le cose che facciamo. Non basta una sola volta o due. Quando tu sei piccolo cerchi l’amore di mamma e papà. Poi cresci e pensi di non averne più bisogno. Questo io lo vedo in molti miei compagni. Ma noi qui siamo soli e sempre rimarremo bambini, anche se siamo dovuti crescere in fretta. Cercheremo sempre questo amore.



Non abbiamo intenzione di proporre soluzioni semplicistiche o emettere sentenze. Ma non possiamo negare che leggere la storia di Uwa e Frank ha fatto nascere in noi domande cruciali: loro, arrivati dall’Africa, senza un soldo, senza famiglia, hanno bisogno di tutto, eppure oggi sono felici e ci dicono: «Mi sono sentito amato, un essere unico e speciale ai suoi occhi. Ho capito che noi cerchiamo sempre questo amore, soprattutto negli amici e in tutte le cose che facciamo».

Io posso dire altrettanto? Cosa cerco per vivere? Mi basta avere una casa, una laurea, trovare un bel lavoro? Senza andare al fondo di questa domanda ogni proposta legislativa o umanitaria resterà un tentativo che, per quanto nobile, si rivelerà zoppo e insufficiente. I migranti resteranno un argomento di cui discutere sui social, una bella traccia alla maturità, da dimenticare velocemente una volta tornati in biblioteca o arrivati in spiaggia. Ci lasceranno in ultimo indifferenti, senza porci domande che tocchino realmente il nostro vivere quotidiano e la consapevolezza di sé.

Accorgersi di questo, appendere la storia di Uwa e Frank a un muro dell’Università Cattolica, sembra veramente poco, un germoglio piccolo e di infimo valore rispetto all’enorme complessità della “questione migranti”. Ma è forse possibile che un simile cambiamento nella mia coscienza, di come io guardo a loro e a me, possa essere l’inizio – o meglio – sia già il cambiamento del mondo?

Alessandro Vaghi

Letizia Freddi

Miriam Gipponi

Andrea Necchi