È ancora una volta un tribunale e un giudice a mettere a soqquadro una legge (la n.40) che nonostante le richieste di revisione costituzionale e dopo i referendum bocciati, dovrebbe essere “intoccabile”: il divieto di Fecondazione Eterologa alle coppie omosessuali resta un punto chiaro della Legge, eppure è un Tribunale (quello di Pordenone) che solleva il principio di costituzionalità (dando ragione ad una coppia di donne lesbiche) e chiede alla Consulta ora di pronunciarsi in merito sulle legittimità o meno di vietare un atto del genere. Sarà dunque sottoposta per la prima volta alla Corte costituzionale la questione della fecondazione assistita alle coppie gay: a Pordenone i giudici hanno accolto la richiesta di una coppia di donne omosessuali di poter accedere alla procreazione assistita anche nel mondo LGBT. Anni fa, alla coppia era stato impedito l’accesso alle tecniche normate dalla Legge40 dall’azienda sanitaria 5 di Pordenone, per quanto stabilito dalle norme vigenti. Le due donne si sono per rivolte al giudice chiedendo che fosse la Corte Costituzionale ad occuparsi del caso e oggi è stato ritenuto «rilevante e non manifestamente infondata» la questione posta dall’avvocato Maria Antonia Pili, «stante il palese contrasto del divieto con gli articoli 2, 3, 31 comma 2 e 32 comma 1 della Costituzione nonché con l’articolo 117 comma 1 della Costituzione in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali», riporta Tg Com24.



LA REPLICA DELLA AZIENDA SANITARIA

Secondo l’avvocato delle donne ricorrenti, «Sarà ora la Corte costituzionale a pronunciarsi su tale discriminazione basata esclusivamente sull’orientamento sessuale delle persone, ormai intollerabile anche nel nostro Paese dati i precedenti sia legislativi sia giurisprudenziali intervenuti in tale ambito. Siamo fiduciosi sull’accoglimento della nostra istanza e sul riconoscimento che negare tale procedura agli omosessuali è una discriminazione inaccettabile». Discriminazione di genere e diritto alla vita di tutti: ancora una volta la Legge40 viene “sballottata” per provare ad applicare norme e pratiche finora non riconosciute ma “spinte” da diversi casi che si pongono all’attenzione. La prima replica che arriva dall’azienda sanitaria recita così: «La questione sollevata da queste due donne è molto delicata e per questo è significativo che sia stata chiamata a pronunciarsi la Consulta». Secondo poi il direttore generale di Pordenone, Giorgio Simon, la vicenda che lo ha visto coinvolto in prima persona come responsabile della struttura «può fare da apripista perché se venisse accolta l’istanza di questa coppia potrebbero aprirsi nuovi scenari, anche di altri generi che non possono fruire di questa opportunità, ora riservata a persone maggiorenni di sesso diverso».

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