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In questi anni bui, dominati da manifestazioni di personalità più che dall’elaborazione di idee costruttive (pensiamo a Putin, Trump, Erdogan, Xi) stanno passando quasi inosservate novità della scienza e della tecnologia molto importanti con impatti etici e geopolitici di grande rilievo. 

Questo non è vero in tutti i settori: prendiamo ad esempio il plurimenzionato campo della Ai (Artificial Intelligence). 



Non che Ai sia diventato di moda per la profondità del pensiero che lo sostiene, che pure esiste ed è tanta. Ma perché si vedono sempre più spesso sue applicazioni che fanno pensare a sviluppi davvero rivoluzionari e più rapidi di quanto sia realmente possibile. Anche se i suoi risultati si vedono in misura ancora limitata, gli sviluppi futuri paiono senza confini. 

All’origine sta la capacità di elaborare quantità enormi di dati (big data) che nessuna mente umana sarebbe in grado di valutare. Pensiamo all’origine della AI, quella di software in grado di superare l’uomo, anche ai più alti livelli, in giochi complessi come gli scacchi, o quelli di sistemi di guida fatti di sensori e attuatori in grado di guidare automobili senza aver bisogno di qualcuno al volante, o al riconoscimento di voce e immagini (molti aeroporti sono oggi dotati di sistemi di riconoscimento di volti tra migliaia di persone). 



Alla base di tutti questi casi sta la capacità di valutare e confrontare miliardi di soluzioni diverse tra la quali scegliere la più opportuna. In più, si dà quasi per scontato che dall’analisi di big data Ai possa apprendere nuove logiche, nuovi modelli di decisione per adattare le sue risposte a future situazioni superando istruzioni passate. 

Una frontiera ancora non ben esplorata della Ai è quella di affrontare il problema delle emozioni (emotional computing) inserendo appunto l’aspetto emotivo nei processi decisionali reali che normalmente — si pensa — un computer non è in grado di prendere in considerazione. Ma la Ai oramai non stupisce più ed è una convinzione diffusa che possa fare molto più di quanto si vedrà in realtà.

Diverso è il caso delle cosiddette scienze della vita, dove sta emergendo in modo prepotente un tema con un potenziale politico assai rilevante, e che invece è politicamente trascurato. Si tratta della lotta all’invecchiamento. Cercare una fonte di giovinezza ha probabilmente ossessionato gli umani fin dall’inizio della storia perché se nei secoli la vita media dell’uomo è molto cresciuta, quella massima no, e da tempi biblici non supera i 125 anni. 

Nel 1513, l’esploratore spagnolo Juan Ponce de León e il suo equipaggio incapparono accidentalmente in Florida in una leggendaria Fontana della Giovinezza. Si supponeva che questa fonte d’acqua magica fosse in grado di invertire il processo di invecchiamento e curare le malattie. 

Non ha funzionato per Ponce de Leon, ma questo non ha impedito ad altri di continuare la ricerca. Al centro si trova sempre il tema della rigenerazione dei tessuti biologici. 

La medicina rigenerativa si è evoluta da venti anni a questa parte come campo per affrontare la sfida di fornire sostituti per il tessuto perso a causa di traumi, malattie, anomalie congenite o invecchiamento. La scoperta di cellule staminali ha infuso grande entusiasmo nel campo, ma l’impatto clinico è stato finora limitato, suggerendo che ci siano altri fattori chiave importanti per la loro efficacia e la riparazione dei tessuti.

Sono quindi saliti alla ribalta altri tipi di cellule, per altro note da tempo, le cellule senescenti (Senescent Cel). 

Una più profonda comprensione dei meccanismi molecolari alla base della della senescenza e dello sviluppo delle cellule senescenti può portare a nuove strategie terapeutiche per patologie legate all’età e perfino prolungare la durata della vita. Le cellule senescenti sono quindi diventate un obiettivo attraente da sfruttare per l’intervento terapeutico mirato a ridurre o ritardare le malattie legate all’età, tra cui l’aterosclerosi, la fibrosi polmonare idiopatica, l’artrosi e l’osteoporosi. 

Le aziende farmaceutiche, i giganti della tecnologia, i venture capital, hanno iniziato a investire pesantemente in startup che mirano specificamente ad affrontare le cause dell’invecchiamento o delle malattie legate all’età. E’ una vera valanga. 

Non si potrà dichiarare tra le indicazioni di un nuovo farmaco che aiuta a prolungare la vita (nessuna sperimentazione clinica sarà mai in grado di dimostrare una simile indicazione). Ma non c’è dubbio che tutti gli utilizzatori proprio a questo aspetto “faranno un pensiero”.

E’ abbastanza ovvio che il debellare le malattie generate dall’invecchiamento sarà un netto miglioramento della qualità dei nostri ultimi anni. Ma se si ottenesse un successo anche in termini di prolungamento della vita, nascerebbero problemi sociali enormi cui nessuno oggi sta neppure pensando: dai rapporti famigliari a quelli sul lavoro, ai problemi delle pensioni. Non solo sono aspetti socioeconomici ma anche profondamente etici. Pensiamoci.