Avvenire celebra oggi al Meeting di Rimini i suoi cinquant’anni (oltre al direttore Marco Tarquinio partecipano fra gli altri l’ex presidente della Rai, Lucia Annunziata e il direttore di Tv2000 e Radio In Blu, Lucio Brunelli). L’appuntamento ha un titolo di attualità stretta — “Notizie false e giornalismo di pace” — ma ripropone di per sé il dibattito in corso sul “qui e ora” del giornalismo cattolico nell’era digitale. E’ un tema cui il Sussidiario ha riservato più di una riflessione: ultimamente seguendo il complesso riordino dei media della Santa Sede avviato su impulso di Papa Francesco. Ma è un guado faticoso quello appena iniziato e non riguarda certo soltanto l’informazione direttamente prodotta dalle varie testate che dovrebbero confluire in vaticannews.va. 



Davanti a tutti i giornalisti cattolici, in Italia e altrove, sono due le linee-guida di fondo, perfettamente innestate nella pastorale del Pontefice. La prima: non diversamente da quanto la Chiesa domanda oggi con più forza ai suoi pastori, anche ai giornalisti cattolici viene chiesto di lasciare i luoghi dove hanno operato finora e di muoversi verso le periferie. Senza timore di vedute, odori, rumori propri delle periferie, terre di incontri-scontri sempre nuovi, ma sempre autentici e aggiornati. Le notizie stanno lì, in quelle periferie simbolo di quotidianità pulsante e urgente: nella società, nell’economia, nella politica, nella cultura. Le opinioni non possono che maturare lì, perché solo lì è possibile osservare, ascoltare, toccare prima di scrivere o parlare. Lì è possibile misurarsi sempre con voci riconoscibili, non importa se vicine o lontane, amiche o concorrenti. La testimonianza cattolica — anche quella in veste di “informazione” — non può mai prescindere dall’esperienza: da un meeting effettivo e continuo con la realtà. Lo sforzo di fare informazione “da cattolici” è l’antidoto migliore al rischio di scivolare nella comunicazione istituzionale o associativa.



Il secondo spunto forte giunto lo scorso autunno dal nuovo “masterplan” dei media vaticani è l’invito a ricostruire strutture leggere e agili, efficienti e innovative. Se il digitale piace a Papa Francesco è chiaramente perché consente di ottenere risultati importanti a costi più contenuti, più “poveri”. Il digitale — assieme a grandi sfide competitive — offre anche agli “editori” del mondo ecclesiale l’opportunità di ridurre i budget anacronistici, non più sostenibili ormai ovunque nell’industria giornalistica. Consente anche di non chiedere più “canoni” ai fedeli per poter essere informati. Il digitale è salutare cambiamento contro un’autoconservazione impossibile e in quanto tale permette (anche ai media cattolici) di rinvigorire il senso di missione, di superare le incrostazioni burocratiche di cui il Papa si lamenta non di rado con la sua Curia.           



L’intuizione di papa Paolo VI che sfociò nella nascita di Avvenire era radicata in una realtà tutt’altro che rigida, anzi. Il pontefice milanese del Concilio non aveva pregiudizi o timori, anzi, di farsi intervistare da una voce laica come quella di Alberto Cavallari sul Corriere della Sera: il giornale di quella che era stata la sua diocesi, dove peraltro in quegli anni si vendevano ogni giorno decine di migliaia di copie dell’Unità. Se lavorò a fondo per costruire un “quotidiano cattolico” fu esattamente per rispondere a un’esigenza immediata: il giornalismo cattolico non poteva non misurarsi con il mercato aperto, non poteva rifiutare il confronto con il cambiamento indotto dalla tecnologia e dai modi di gestione e offerta dei prodotti giornalistici.    

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